11 Novembre 1917

  • “E’ arrivato il sergente Brancalari” m’avverte un soldato.

Corro subito.

Questi mi viene incontro con un’aria mortificata e senza darmi tempo d’interrogarlo : “Caro Joli, tutto ho perso, ma non per colpa mia. Ho sbagliato la strada, mi sono disperso. T’ho cercato tanto senza trovarti. Fatta notte mi ritiro entro un cascinale, ma appena svegliatomi alla mattina dopo non trovo più né cavallo, né cassetta … più nulla. M’hanno derubato capisci … che vuoi farci? Credimi che il mio dispiacere è grande e se potessi … .”

“Finiscila”, gli grido sulla faccia, verde di rabbia; “finiscila di recitarmi questa commedia. Hai approfittato di quei pochi minuti che mi trattenni in quella bottega per fuggire a tutta carriera … t’hanno visto. Sei un vile … non vedevi in che stato mi trovavo?”

Alla parola vile quegli scatta: “Non dimenticarti che parli con un tuo superiore, ti consiglio di cambiare tono” e mi volta le spalle.

Sto per lanciarmi addosso a quel furfante ma vengo trattenuto da alcuni compagni che assistevano all’animato nostro colloquio.

  • “Mi basta questo tuo atto,” mi grida rivolgendosi indietro con un ghigno in bocca, ”hai detto e fatto più del necessario per rovinarti se lo volessi, ma ho un buon cuore ti compatisco.”

I compagni mi spinsero con loro fuori dell’accampamento e mi obbligarono a bere.

  • “Non lo conoscevi ancora?”

Bevvi per stordirmi, poi piansi per la rabbia repressa.

Share

6 Novembre 1917

Alla mezzanotte precisa si lascia Treviso. Date le penose condizioni fisiche di tutti si provvede a farci fare un tratto di via in ferrovia.

Ci stipano entro vagoni bestiame senza fornirci neppure d’una galletta. Si va a Mestre. Il tragitto non è lungo ma per noi fu penosissimo. Da Mestre si prosegue per Este e vi si giunge nientemeno che alle ore 5 del giorno sette, vale a dire due giorni e due notti intere, senza riposo e quasi  digiuno. L’incredibile ritardo fu causato dalle interminabili ore di sosta in binari morti per dar passaggio ai treni che si succedevano ai treni trasportanti truppe e materiali d’ogni specie.

Ho tutte le ossa rotte, aggiuntovi i disturbi gastrici.

Sento di non potere più resistere e mi raccomando a tutti i Santi perché mi aiutino loro.

Giunti ad Este ancora notte ci tengono immobili sotto un loggiato per ben 4 ore in attesa di ordini.

Approfitto di quella sosta e scappo in un vicino caffè per ristorarmi un poco e provvedermi di qualche cosetta.

Alle ore nove si riprende la marcia a piedi per Pressana e si arriva alle 16,30. Altri 23 km.

Ci annuncino che qui sosteremo per qualche giorno, in attesa dell’arrivo di altri uomini e materiali racimolati qua e là.

Trovo un’ottima famiglia di contadini che presi a pietà del mio deplorevole stato, mi prodigano le più affettuose cure.

Alla mattina mi tengono pronta una bella scodella di latte caldo, come pure alla sera e mi offrono l’uovo fresco della giornata.

Passo così buona parte del giorno vicino al grande focolare insegnando   l’abbecedario ad una bella bambina dai capelli biondo slavato come le chiome delle pannocchie di granone.

Alla sera, come sono tutti riuniti, racconto loro delle belle storie della sacra Bibbia.

Hanno per me una venerazione ed un affetto indescrivibile. In mezzo a loro dimentico le mie tristezze e lo spirito, come il corpo, si rinfrancano per sostenere altri ben prossimi disagi.

Share

5 Novembre 1917

Si lascia Loncon alle ore 12 diretti a Treviso; altra bella marcia di 28 km.

Si giunge alle ore 19,30. Mai ho camminato tanto in vita mia ed in quelle condizioni. Si resiste non si sa come, con un po’ di galletta e qualche rara scatoletta di carne in conserva. Si dorme beninteso sulla nuda terra e fortunatissimi se c’è dato ricoverarci sotto qualche tettoia od in qualche fienile.

Il freddo nella notte è intenso e s’è obbligati di quando in quando levarci da terra per non rimanere assiderati e sgambettare forzatamente per ripristinare la circolazione del sangue.

Chi mi ha dato tanta resistenza?

Altri dispersi si sono aggiunti alla nostra colonna e compresi gli ufficiali siamo 127.

Share

1° Novembre 1917

Verso le ore 14 giungo nei pressi di Casarsa, luogo indicatomi da un carabiniere dove avrei trovato il comando del mio reggimento.

Faccio un incontro gradito: è il sergente Brancalari di Spezia, della mia batteria.

  • “Dove vai Joli?”
  • “A Casarsa,. Non sono i nostri laggiù?”
  • “V’erano ma sono partiti stamani. Ho l’ordine in iscritto di radunare tutti gli uomini nostri che trovo durante il mio viaggio e condurli a Teglio Veneto” e mi mostra un foglio.
  • “Sapessi, caro Joli, come sono stanco, beato te che ti sei potuto arrangiare. Ma questo cavallo non è della nostra batteria, dove l’hai rubato?”
  • “Ecco, amico mio, veramente non è rubato ma ricuperato nei pressi di Codroipo durante il famoso fuggi fuggi. Senti, io non sono egoista, ti offro volentieri il cavallo col patto che tu lo conduca al passo. Lo monteremo così un po’ per uno perché, credimi, che io pure mi sento estremamente stanco”
  • “Grazie, Joli, non dubitavo del tuo buon cuore.” e senz’altro aggiungere salta in groppa al cavallo cogli occhi che gli brillavano dalla contentezza.

Io lo seguo a pochi passi di distanza.

Passo davanti ad un piccolo negozio di commestibili che trovo affollato di soldati. Sia lodato il Cielo! Potrò provvedermi un po’ di cibo. Grido al Brancalari di fermarsi un momento, e questi mi risponde “Fai pure i tuoi  comodi.

Ma all’uscita del negozio ho la dolorosa sorpresa di non vedere più né l’amico né il cavallo.

Domando a destra ed a sinistra se hanno visto un sergente d’artiglieria a cavallo portante una cassetta così e così….

  • “Si”, mi rispondono, “andava a tutta carica verso Cordovardo”.

Un sospetto terribile mi balena pel capo ma mi sforzo di non dargli parvenza di realtà tanto mi pareva impossibile da parte sua un’azione di quel genere.

Mi rimetto incammino pensando ch’egli mi attenderà a Cordovardo. Avrà voluto guadagnare tempo per prepararmi colà una buona cenetta, dico fra me.

Se così fosse non avrebbe avuto una cattiva idea, quantunque mi dispiace che strapazzi così quel povero cavallo mezzo sfinito lui pure.

  • “E’ distante Cordovardo da qui?” domando ad una donna che mi passa vicino.
  • “Dodici km”, mi risponde.
  • “Maledizione!” impreco a me stesso accusandomi di non aver imparato ancora a stare al mondo, con tutto i miei peli grigi.

Mi procuro un solido bastone e piano piano proseguo per la mia strada.

Giungo a Cordovardo e m’affanno a cercarlo un po’ da per tutto: nessuno sa indicarmi niente di preciso; finalmente un carabiniere di guardia al bivio di piazza V.E. mi assicura d’aver visto il sergente in parola dirigersi alla volta di Teglio Veneto, di avere anzi controllato il suo foglio di servizio.

  • “Avete notato se portava con se una cassetta?”
  • “Si, ma non ho chiesto spiegazioni per questa; perché, caporale, c’è forse qualcosa di nuovo?”
  • “Oh niente! Niente!” rispondo lesto, lo ringrazio e proseguo verso Teglio coll’anima in tempesta.

Ora non mi faccio più illusioni, il falso amico mi aveva giuocato un tiro infame. Sono disperato non tanto per la perdita, pur preziosa, del cavallo quanto della mia cassetta che conteneva tanti oggetti cari, e tanti ricordi, oltre la mia Madonnina e vari quadretti del fronte con una cassettina ben fornita di colori fini e di pennelli.

A parte il valore, dirò così, morale ed artistico, gli oggetti ivi contenuti sommavano una somma non inferiore alle trecento lire.

E cammino, cammino trascinandomi a stento ma con un desiderio unico di giungere presto a Teglio Veneto.

  • “Lo troverò di certo là, e vedrà chi sono io.”

Comincia ad imbrunire, ormai non mi reggo più e dispero di arrivare per quella sera.

Fortunatamente un pietoso borghese mi fa salire sul suo calesse e giungo così verso le ore diciotto a destinazione.

Ritrovo a Teglio il Comando del mio reggimento.

Di un migliaio di uomini di cui era composto, di 32 cannoni, di 800 cavalli, di 120 cassoni ecc non rimangono, per ora, che 64 uomini, 48 cavalli e 3 cassoni per munizioni.

Tre soli uomini ritrovo della mia batteria: il soldato Tosi, Ruffini e Neri. E tutti gli altri?

Possibile un disastro simile? Stento a crederci. Saranno certamente ancora dispersi.

Domando del sergente Brancalari. Nessuno l’ha visto, anzi lo si attendeva.

Spinto dalla rabbia, lascio i compagni e mi dirigo al cascinale dove s’è installato il Comando. Ho un solo pensiero di vendetta. Denunziarlo. Che altro si meritava?

Mi presento all’Aiutante Maggiore che m’accoglie con festa congratulandosi del pericolo scampato, mi chiede tante cose e fra l’altro se ho conservato qualche quadretto del fronte. “Desidererei avere un suo ricordo”.

  • “Ho perso tutto,” rispondo a denti stretti, e per non tradirmi; per non perdere quel disgraziato, saluto in tutta fretta e me ne ritorno all’accampamento.

Mi getto a terra sopra una manciata di paglia. Tremo dal freddo, non ho neppure il mio pastrano rimasto sul dorso del cavallo

Ho passato una nottata penosa e mi sono chiesto cento volte se è sempre conveniente fare del bene.

 

Share

30 Ottobre 1917

Due orette dopo si riprende il viaggio ma ben presto siamo presi di nuovo e stretti da quella massa d’uomini, si che c’è dato avanzare dieci metri ogni quarto d’ora.

Una squadriglia di aereoplani austriaci da bombardamento vola a bassissima altezza sopra quella immensa fiumana  di uomini in ritirata, e li segue senza gettare una bomba.

E’ la mancanza di proiettili od un tratto inconcepibile di umanità che li trattiene dal commettere una vera strage? Non so; so solo che lo spavento che provo è grande, ogni minuto è un secolo, la mia vita è ora attaccata ad un filo ben fragile.

Scorgo sulle navicelle i nostri nemici, in certi momenti s’abbassano a meno di cinquanta metri.

Il rombo assordante dei motori mi da la sensazione d’una mitragliatrice in azione ed abbasso il capo e mi restringo in me stesso come fosse il mio ultimo momento.

  • “Vedo tanti che conservano ancora il fucile, ma perché non si spara, il bersaglio non è difficile … “.
  • “Se essi non ci bombardano è segno che ci vogliono risparmiare,” mi risponde il sergente, “ provocarli con qualche fucilata sarebbe peggio per noi.”

Passano così le ore per un percorso minimo.

Un vero tormento!

Trovarsi nell’impossibilità di muoverci e di difenderci mentre il nemico ci è oramai alle calcagna.

Le scariche delle mitragliatrici ci avvertono non esservi oramai più scampo.

Siamo presi in mezzo né possiamo sperare di salvarci traversando il vicino ponte della Letizia sul Tagliamento, avendolo gli Austriaci già fatto saltare per tagliarci la ritirata.

Che è avvenuto in quel tragico momento? Ho la mente ancora confusa. Ricordo il grido altissimo : “Si salvi chi può”

In un baleno quella marea d’uomini si allarga, si disgrega, tutto viene abbandonato nella fuga precipitosa attraverso i campi melmosi. Automobili, cannoni, carri, ambulanze ricolme di feriti … I miei uomini distaccano a colpi di coltello i finimenti che trattenevano i cavalli all’avantreno, e via a pazzo galoppo attraverso i campi.

Rimango così solo sull’avantreno, quasi indeciso, come paralizzato dalla scena che si svolgeva ai miei occhi.

La fucileria si fa più intensa; non v’è un minuto da perdere e salto a terra e fuggo, fuggo senza saper dove, seguendo gli altri già distanti.

Avrò fatto circa mezzo km in mezzo a quei terreni acquitrinosi quando mi vengono meno le forze e mi piego su me stesso addossato ad una quercia.

Non mi era possibile ritentare la fuga in quelle condizioni e rivolgo una breve preghiera alla Madonna.

Oh la mia Madonnina! No, non la voglio abbandonare così e mi decido ritornare sui miei passi per ricuperarla.

Il pensiero di non poter oramai più sfuggire alla cattura s’era già addentrato nel mio cervello, che m’ero già rassegnato a questo sacrificio.

Bramavo perciò non separarmi dai miei oggetti cari e dalla mia Madonnina che m’avrebbe portato fortuna.

Mi faccio animo e strisciando rasente i filari delle viti e degli alberi per rendermi meno visibile, arrivo sulla strada e rintraccio il mio avantreno.

Riprendo lesto la mia preziosa cassettina e come uno scoiattolo fuggo e mi riesce di raggiungere una piccola casa colonica e mi serro dentro.

La casa è deserta; tutti fuggiti. E ora che faccio?

Sento un nitrito di cavallo proveniente dalla corte.

Mi sporgo cauto dal finestrino, non vedo nessun uomo ma un bel cavallo morello che, senza sella, gironzola per l’aia in cerca di un filo d’erba.

E’ la provvidenza che me lo ha inviato.

Esco fuori ed afferrato il cavallo l’introduco entro casa.. Coll’aiuto di pezzi di corda ritrovati nella stalla, assicuro il mio piccolo bagaglio sulla groppa del cavallo. Piego bene il pastrano che mi funzionerà da sella ed esco armato di un solido bastoncino.

Inforco la mia cavalcatura e via in direzione opposta a Codroipo.

E continuo sperduto fra l’immensa distesa dei campi paludosi, intersecati da gonfi ruscelli, la penosa cavalcata verso una destinazione a me ignota, guidato solo dall’istinto, o meglio dalla mano di Dio.

Dove vado? Non lo so! Vedo nuclei di truppe fuggire da una parte, mentre altre masse fuggono in senso inverso. Nessuno sa precisare la giusta direzione che ci possa trarre in salvo.

Abbandono le redini sul collo del povero cavallo sfinito dalla corsa e mi lascio trasportare da lui.

Già abbuia ed il silenzio è rotto a tratti dallo scoppiettio della fucileria che diviene man mano più rada.

Mentre traverso un vicolo campestre, ridotto ad un vero ruscello, mi sento chiamare forte:

– “Signor Joli, signor Joli”.

Mi volto di scatto a quella voce per me non ignota e chi vedo? La mia guardia daziaria Parisi, caporale di fanteria.

Contenti come all’incontro di fratelli, ci abbracciamo chiedendoci tante cose.

  • “Amico,” gli dico nel lasciarlo, non so se potrò schivarmela a buon mercato …”.
  • “Ed io? ..
  • “Ebbene, il primo di noi due che avrà la fortuna di ritornare a Siracusa, porti i saluti alla famiglia dell’amico.”
  • “ Benissimo e che Dio e la Beata S. Lucia ci salvino tutti e due. “

E strettomi la mano per un’ultima volta riprese la sua fuga, con altri uomini da altra parte.

 

 

E’ già notte avanzata ed io seguivo il mio viaggio traverso i campi per evitare le strade battute dalla cavalleria tedesca. Non mi reggo quasi più dai dolori al dorso e la povera bestia fatica a svincolarsi da quei pantani.

Ma dove andare? I due ponti di Codroipo già saltati e la ferrovia in mano al nemico.

Scorgo poco lungi una casetta seminascosta da alti abeti. Mi dirigo a quella volta. Assicuro l’animale sotto il piccolo portico e lo provvedo di fieno. Io   entro nel misero abituro deserto e fortunatamente rinvengo, nella madia, un bel pezzo di polenta che divoro. Spargo un po’ di paglia a terra e mi corico, tutto contento di concedere un po’ di riposo al mio povero corpo squassato …… .

…..  Nel mio sonno agitato ho una visione, è il mio quadretto che si libra in alto ai miei sguardi. La Madonnina dipinta si anima e mi grida di ripartire subito e col braccio teso m’indica la direzione del mio cammino.

Mi sveglio di soprassalto ed allungo una mano per assicurarmi che la mia cassettina è sempre lì. Sento il cavallo che mangia ancora il suo foraggio.     La testa pesante mi ricade sulla spalla  e sto per riprendere sonno quando una voce interna mi grida :”Fuggi di qui, non indugiare.”

Mi sollevo a fatica e così al buio preparo il mio cavallo e lascio l’ospitale casetta con un rimpianto. Ma perché, mi domando, sono partito così presto? Non potevo rimanervi un altro poco per meglio riposarmi? E questa povera bestia  che si regge a stento?..

A trenta metri dalla casetta, poco lungi dal viottolo, il cavallo s’arresta di colpo.

Una massa nera è a un palmo dalle sue zampe. Guardo bene … Dio! Possibile!

D’un balzo sono a terra.

E’ una donna, morta forse?

La scuoto, le sollevo il capo, sento il suo respiro.

La giovane donna riapre gli occhi, balbetta parole incomprensibili e ricade come corpo morto.

Con uno sforzo di muscoli che mi parve miracolo la risollevo da terra e quasi di peso riesco a ritornare alla casetta e la corico sulla paglia.

Aggiusto bene il mio pastrano davanti al piccolo finestrino e trovato un po’ di legna  accendo un bel fuoco.

La povera donna comincia a rianimarsi. Io le porgo la mia borraccia che conteneva ancora un po’ di cognac di Palmanova. Lo serbavo per circostanze estreme.

Essa, alla luce della fiamma, mi guarda stupita e timorosa.

Le faccio animo e l’obbligo a bere un sorso del prezioso liquore.

La poveretta si rianima tutta e mi guarda fisso.

  • “Benedetto! Benedetto!” pronuncia finalmente, se non eravate voi sarei morta di certo “ e mi afferra le mani attirandomi a se, poi forse dolente del suo atto si ritrae coprendosi il volto colle palme delle mani, quasi temesse la mia vicinanza.

Cerco nel miglior modo possibile di rassicurarla sulle mie oneste intenzioni e presola per mano la chiamo sorella e le giuro, per quanto sta nelle mie forze, di portarla in salvo.

L’espressione del mio volto e le mie parole dovettero convincerla subito e sollevarle l’anima sconvolta.

Emise dal suo petto un profondo sospiro e cogli occhi velati di lacrime mi getta le braccia al collo.

In breve narrò la sua pietosa storia.

Profuga da Asiago da più d’un anno abitava con sua madre e due fratelli minori nel vicino paese di Codroipo. Poi il disastro, le schioppettate, la fuga, gli Austriaci … . In  quel turbine perdette di vista i suoi di casa ed errò disperata fra i campi gridando i loro nomi. Un momento si vide travolta sotto le zampe di cavalli di ulani, le vennero meno le forze, cadde ….. poi non ricordò più nulla … attendeva la morte pietosa.

  • “Sapete chi vi ha salvato?”
  • “Ma voi, benedetto!”
  • “No, è stata la Madonna e propriamente questa che serbo in questa cassetta.”

La poveretta si solleva sulle ginocchia come inebetita e mi fissa negli occhi.

Getto una bella manata di paglia sul fuoco ed estraggo in fretta dalla cassetta il mio quadretto e glielo pongo fra le mani.

Alla vivida luce della fiammata potei contemplare la sacra effige della mia protettrice ed il volto rosso dall’emozione di quella giovane donna che accostate le labbra tremanti alla tela si profondeva in devoti baci.

  • “Come vi chiamate?”
  • “Maria.”
  • “Ebbene, Maria, bisogna pensare a fuggire di qui, non conoscete altre strade che conducano al Tagliamento? Vi sono nelle vicinanze altri ponti oltre quelli di Codroipo?”

La donna scuote il capo in senso negativo, poi afferrandomi le mani .”Si, ora rammento, vi sono passata or fa un anno, si a Madrigio, ma è ancora distante. Andiamo, andiamo, amico mio.” E fa per levarsi in piedi ma ricade come un cencio sulla paglia. “Non posso più reggermi”, singhiozza, “mi sento la persona tutta pesta, ahimè non potrò seguirvi. E intanto voi perdete un tempo prezioso causa mia … ascoltatemi; Madrigio è distante è vero ma prendete, al primo crocicchio che trovate al termine di questo vicolo, il sentiero di destra  proseguite sempre dritto. Traverserete una grossa borgata e di fronte alla chiesa prendete la strada di svolta a sinistra, essa vi conduce a Madrigio. Con questa scorciatoia vi avvantaggerete di almeno 5 km. Io non posso seguirvi, buon uomo, grazie di cuore del bene che mi avete fatto e che il Signore vi assista.”

Mentre la poveretta così si esclamava torcendosi dolorosamente fra la paglia io aggiustavo la cassetta sul cavallo e trovato un sacco lo riempio a metà di fieno e lo aggiusto in maniera da sembrare una soffice sella.

  • “Maria, sono pronto, fatevi coraggio, io non voglio abbandonarvi così, oramai divideremo assieme le nostre sofferenze sino a che vi abbia ricondotta in salvo; coraggio.”

La sollevo da terra, malgrado i suoi dinieghi, e le sussurro parole di conforto.

Le sue braccia si strinsero forte e convulse al mio collo, le nostre faccie si toccarono e in quel contatto ebbi l’impressione di ricevere un bacio.

 

 

Io a piedi le cammino a fianco sorreggendola con una mano nel timore che una brusca scossa del bravo cavallo avesse a farla cadere.

La poveretta mi addimostra tutta la sua riconoscenza con mute strette più eloquenti della parola.

Non ardisco confessarle la mia stanchezza, ma lo sforzo che faccio per reggermi in piedi è enorme e mi raccomando alla Madonna di darmi forza.

Oltre alla stanchezza fisica s’aggiungono i dolori viscerali anche per la mancanza di cibo. Porto la mano alla borraccia e la scuoto; v’è ancora un po’ di liquore ma penso alla mia povera compagna e lo serbo per essa.

Si viaggia così tutta la notte senza nessun incontro pericoloso, ma c’incontriamo per più volte in seri ostacoli a causa della pioggia  del giorno avanti. Ora sono acquitrini, ora fossati profondi più d’un metro. Debbo fare appello a tutte le energie rimastemi per svincolare me ed il cavallo da quei guadi pericolosi coll’acqua fino al petto.

Tremo dal freddo mentre ho la testa in fiamme, gli occhi mi bruciano ed un greve affanno mi tormenta il petto. E’ la febbre.

D’un tratto mi piego sulle ginocchia e stramazzo a terra.

Maria dà un grido e si lascia scivolare giù dal cavallo che s’è arrestato.

Si trascina vicino a me, mi afferra il capo, m’accarezza e piange … è disperata.

Un sorso di cognac mi rianima un poco e rassicuro la povera compagna di sventura che non ho nulla, che ho incespicato e sono caduto, che non pensi a me.

Mi rialzo e colla forza della disperazione risollevo quella disgraziata e la rimetto a cavallo. ………….

Alle prime luci dell’alba siamo nei pressi di Madrigio; ecco il sospirato ponte , ecco la nostra salvezza!

La fucileria austriaca ci segue da vicino e già masse di cavalleria tentano  tagliarci il passo ma  vengono arrestate dalla massa umana che si riversa come una marea all’imbocco del ponte.

E’ un momento d’angoscia.

Faccio scendere la compagna dal cavallo nel timore che possa essere facilmente colpita dalla mitraglia che fischia sul nostro capo.

La poveretta si stringe alla mia persona tremando come una frasca.

Con una mano conduco per la briglia il cavallo; coll’altro braccio libero sostengo per la vita la povera Maria e furioso mi spingo colla testa fra quell’ammasso di uomini.

Con sforzi inauditi riesco ad aprirmi un varco e sto per infilare il ponte quando mi sento strappare violentemente dalle braccia la povera donna che getta grida di disperazione.

Mi volgo e vedo un carabiniere spingerla indietro brutalmente.

E’ un attimo. Mi è impossibile né fermarmi né tampoco ritornare indietro tanta è la ressa che mi spinge avanti.

  • “Maria! Maria!” grido con la disperazione nel cuore … Mi risponde un altro grido straziante , inumano … .

Uno scroscio infernale solleva il ponte come un terremoto, poi tutto s’innabissa nei vortici del grande fiume. Sono le sei e un quarto.

Salvo! Salvo per miracolo!

Inebetito dalla spaventevole  tragedia svoltasi ai miei occhi, rimonto a cavallo e fuggo traverso i campi per sottrarmi al tiro nemico.

L’intelligente animale sembra comprendere il pericolo imminente e corre veloce senza bisogno dello stimolo dello sperone.

Poi affranto dalla stanchezza mi getto a terra ai piedi di un grosso noce assicurandomi le redini del cavallo intorno al braccio.

Involontariamente mi esce dalla gola arsa l’aria della  canzone popolare: “O donni, donni assassini, li spusi a li confini …”.

Le mie labbra accompagnano la vocina stridula della mia Joluccia; il suo canto mi ronza alle orecchie.

E mi compare innanzi agli occhi la visione di tutta la mia famiglia …. Sogno io forse? O sono pazzo? … Mi premo colle palme delle mani la mia povera testa che delirava.

Poi ho una crisi di pianto ed un fremito convulso scuote il mio corpo affranto.

Piango; ma questo pianto è un ristoro, è uno sfogo del mio cuore oppresso; è la migliore preghiera di ringraziamento ch’io possa rivolgere al buon Dio.

Share

29 Ottobre 1917

Avvolto in un telo da tenda per meglio proteggermi dalla pioggia ho trovato posto sull’avantreno con tutte le mie cose e sonnecchio tranquillamente mentre le generose bestie divorano la strada al trotto forzato.

Si giunge così a Palmanova verso le tre del mattino e facciamo sosta sotto una tettoia uso stallaggio, a pochi passi dalla città.

Essa è tutta in fiamme ed in preda al saccheggio da parte delle nostre truppe.

Io resto a custodia dei cavalli mentre gli amici fuggono verso la città in cerca di bottino.

Verso le ore nove sono di ritorno carichi come re magi.

Non hanno trascurato provvedersi di liquori e biscotti. Nessun comando militare è a Palmanova; gli ufficiali sono spariti come per incanto e quelle numerose truppe d’ogni arma, abbandonate a se stesse, non trovano di meglio che darsi al saccheggio ed alla gazzoviglia.

E’ un’orgia di novelli lanzichenecchi. E’ un’onta indelebile che graverà eterna sul nostro esercito, già sì invitto e disciplinato.

Ma di chi la colpa?

Tutto ciò non può essere che il prodotto d’una nefanda trama politica e le frasi colte a volo a qualche raro gruppo di ufficiali me ne fecero troppo convinto.

Ma perché nessuno dirige questo grande  movimento di ripiegamento, perché non si riorganizzano nuclei di resistenza per la protezione del grosso dell’esercito? Perché non si disciplinano queste masse e non le si dirigono verso la via della salvezza, al di là del vicino Tagliamento? Perché?

Vedo persino nei campi rizzare delle tende, mentre tanti altri prendono d’assalto i cascinali e vi si insediano comodamente quasicchè il nemico non fosse lì vicino a raggiungerli.

Vista vergognosa! Truppe ubbriache che cantano e fanno piroette come in un giorno di baldoria.

Ne vedo tanti, presi dall’alcool, supini a terra lungo i margini dei fossati, povere vittime della loro intemperanza!

 

 

Si riprende il viaggio verso Codroipo, ma s’è costretti procedere molto lentamente a motivo dell’incredibile ammassamento dei carri e delle truppe.

Entro i fossati ricolmi d’acqua v’è una quantità di poveri cavalli e muli col loro carico addosso che si dibattono fra gli spasimi di quella lenta agonia.

Nessun braccio che li tragga a salvamento.

Stramazza un uomo a terra e cento talloni gli passano sul povero corpo. L’egoismo brutale dell’uomo pel suo istinto di conservazione trascende il limite delle leggi umane. Non v’è pietà per nessuno; ognuno pensa alla sua pelle e pur di aprirsi un varco in quella fiumana di uomini, pur di strappare ad un disgraziato la sua cavalcatura, non si perita di commettere un’azione criminosa.

E tutto questo flagello perché?

Perché è sparito il comando.

Mi è impossibile descrivere tutto l’orrido di questa vergognosa ritirata.

All’alba ci ritiriamo in un cascinale per dar nutrimento ai cavalli e per riposarci un pochino noi pure.

Mi sento forti disturbi gastrici e tremo come una foglia sotto gli abiti inzuppati d’acqua.

Ma davanti ad un gran focolare vi trovo quel ristoro insperato e ringrazio Dio.

Quei buoni contadini ci offrono polenta e vino a volontà; tutto ciò che dispongono.

Possiamo così acquietare gli stimoli della fame e rimetterci in forze.

 

Share

28 Ottobre 1917 – ore 17

Si è scatenato un forte uragano.

E’ l’ira del cielo che ammonisce gli uomini di por termine a questo flagello?

I tre ufficiali rimasti se ne vanno frettolosamente con tutti i loro bagagli, lasciandomi la consegna di non abbandonare il distaccamento, che sarebbero ritornati per ricupero del materiale rimasto.

Faccio buon viso a cattiva sorte e mi rimetto nelle mani di Dio.

Eccomi solo.

La fucileria nemica si fa più distinta; Cormons è già in loro mani.

Cinque km ancora e sono qui.

Un brivido di freddo mi passa per le vene. Che sarà di me? Ove posso ormai trovare scampo? Dove dirigermi?

Già mi vedo circondato da quei demoni e trascinato via se pure non venga risparmiato dalla loro brutalità.

Ma perché debbo rimanere ancor qui? Proprio io, il più vecchio della batteria? ..

Passa così circa una mezz’ora, quando il galoppo d’un cavallo mi fa scattare in piedi colla rivoltella in pugno.

-“ Joli! Joli!”

Mio Dio, è la voce del sig. Tenente Rozzi.

Esco fuori e rispondo “Comandi”

  • “ Via, fugga, non un minuto di tempo, mi raggiungerà a Palmanova.” E sparisce alla carica sotto quel diluvio d’acqua.

Ciò che ancora non so spiegarmi è la calma incredibile che subentra in me da quell’istante memorando.

Unica preoccupazione fu di riordinare le mie cosucce strettamente necessarie e la mia cassettina colle mie pitture.

E tutto questo senza nervosismo, con quella calma come se mi allestissi per un viaggetto di piacere.

Così equipaggiato mi accingo a partire ma giunto di fronte alla mensa ufficiali mi fermo sia per riposarmi dal peso dei miei fardelli, sia come attratto dal gradito odore delle vivande approntate sulla mensa.

Entro senz’altro nella sala, il mio piano è già tracciato.

Non mi uovo più e attendo il mattino seguente.

Palmanova? Ma è molto distante Palmanova, diluvia che è un piacere ed è già quasi notte… . Non conosco le vie … . Potrei incappare in mezzo a loro … no, no … aspettiamo il giorno; sarà quel che Dio vuole; con questo tempo non riuscirei trascinarmi per tre km.

E questa decisione che altri chiamerebbero pazzesca fu invece la mia salvezza.

Dispongo i miei fagotti in un angolo della sala e toltomi il pastrano già molle d’acqua, mi siedo con aria soddisfatta alla ricca tavola, sulla quale fumavano le vivande che i Sigg. Ufficiali avevano abbandonato nella furia della ritirata.

Il crepitio delle  mitragliatrici è più intenso e più vicino.

Strano, strano, io rido, d’un riso convulso e sto divorando una bella costoletta di vitello, come non fosse cosa che m’interessasse.

E gli Austriaci?

  • “ Ba!, se arrivano, siano i ben venuti, mi lascerò prendere almeno a pancia piena … mi coglieranno a tavola tranquillo ed immobile come il vecchio senatore romano sul suo scranno.

E mentre sorseggio pacatamente il generoso vino, concludo: “Ecco la mia massima: Resistere al nemico, come il dovere ce lo impone, fino all’estremo, ma la fuga mai, sia pure che ne siate al contatto. Chi fugge incorre in maggior pericolo di chi si batte. Ed il mio caso è questo. Caro tenente ti ringrazio. – Ci vediamo a Palmanova – . E’ presto detto, ma i miei calcagni non sono così veloci come i garretti del tuo cavallo … Ma è squisito questo vino … ecco sento che proprio mi rinvigorisce lo stomaco … . Ah siete voi, signori tedeschi!? … accomodatevi, sarete stanchi … non fate cerimonie … la dispensa è ben fornita, ristoratevi: siete miei ospiti.”

Un rumore di traini all’ingresso del viale mi fa balzare dalla sedia e mi si rizzano i capelli sulla testa.

Quatto quatto i avvicino alla finestra … .

  • “Ma sono i nostri!” grido colla voce soffocata.
  • “Ei, chi va là, fermatevi” e mi lancio fuori dalla sala barcollando un pochino.

E’ un avantreno guidato da un sergente della 5° batteria con due conducenti.

  • “Ma dove andate? Non c’è più nessuno, sono solo; c’è l’ordine di radunarsi a Palmanova.”
  • “I cavalli sono sfiniti, veniamo dal Santo, e noi pure.”
  • “ Ebbene, fai riposare i tuoi cavalli e mentre essi mangiano la loro biada, voi tutti ristoratevi un poco qui alla mensa ufficiali. Ce n’è per tutti. Fra un’oretta si ripartirà, è giusto così? Venite con me.”

 

Share

28 Ottobre 1917

Cividale è in fiamme; i tedeschi stanno avvicinandosi celermente.

Tutti i depositi immensi di munizioni, vettovagliamenti e materiali diversi si sono trasformati in grandiosi incendi.

E’ notte e tutto a me d’intorno è uno spaventevole braciere.

Che orrendo spettacolo!

La terra trema sotto le innumerevoli esplosioni delle migliaia e migliaia di colpi giacenti nei depositi e il cielo s’illumina  tutto d’un bagliore sanguigno che offende la vista.

Gli splendidi campi d’aviazione, uno nostro, l’altro francese, limitrofi al nostro accampamento, ardono coi loro angar e coi loro apparecchi.

E contemplo estatico quelle distruzioni domandandomi come mai non s’è avuto tempo di porre in salvo tante gloriose macchine. Mistero!..

Quei pochi uomini del distaccamento sono spariti, resto solo con tre ufficiali intenti a preparare le valigie.

Una nostra guida ciclista, inviata a Plava alla ricerca essa pure dei soldati ivi rimasti, ritorna affranta dalla lunga corsa sostenuta e narra come per miracolo sia sfuggita ai colpi di rivoltella d’una pattuglia tedesca a cavallo.

Passo così il restante dell’indimenticabile notte senza concedermi un’ora di riposo quantunque sfinito dalla stanchezza.

Alle prime luci del nuovo giorno il mio corpo affaticato cede al sonno e m’addormento sul tavolato del corpo di guardia colla mia rivoltella a portata di mano.

Share

27 Ottobre 1917 – ore 6

Sono di ritorno al mio distaccamento di Medeuzza verso le sei del mattino. Non vi ritrovo che pochissimi uomini intenti a far bottino nella vivanderia abbandonata. Quasi tutto il materiale di cassoni e munizioni s’è messo in salvo alla volta di Udine. Vorrei raggiungere la mia batteria ma l’ufficiale di picchetto me lo proibisce e m’incarica della custodia di quanto ancora trovasi nel deserto distaccamento.

Il cannone nemico è più vicino ed i colpi esplodono sempre più a breve distanza da noi.

Continua ininterrotto l’esodo delle nostre truppe in ritirata.

Share