Una brusca scossa mi risveglia dal mio torpore.
Apro gli occhi imbambolati e giro lo sguardo attorno.
Una desolazione.
Qua e là gruppi di cavalli, letteralmente coperti di melma, sono assicurati a tronchi d’alberi nei punti più elevati del terreno. Non una tenda in piedi, ma rottami sparsi qua e là, casse, attrezzi, indumenti semisepolti nel limo.
Un cavallo morto, col ventre enormemente gonfio e le gambe irrigidite, dondolanti entro un fossato.
Gli allagati, grazie all’esempio che offriva il bravo tenente, fecero miracoli per evitare peggiori disastri. Questo lo seppi dai poveri contadini, rimasti è vero senza tetto, ma col loro bestiame al sicuro, e mi ripetevano colle lacrime agli occhi nella loro lingua slava, elogi e ringraziamenti per i loro salvatori. Mi offrono latte caldo ed i loro cenci mentre asciugavano innanzi ad una bella fiammata i miei fradici indumenti.
In breve mi sento tutto ristorato non avvertendo altro bisogno che d’un po’ di riposo, ciò che mi viene concesso.
Al mio svegliarmi è una gloria di sole.
Un forte vento aveva fugato le nubi e fatto cessare la pioggia. Gli uomini del reparto sono intenti al recupero di tutto ciò che è possibile raccogliere, mentre altri s’affannano al governo dei loro cavalli ridotti in uno stato deplorevole.
Io seguo il io tenente in un giro d’esplorazione per procurarci una località più adatta sia per gli uomini e pei cavalli come pel materiale.
Non era facile compito e giriamo in lungo e in largo la zona visitando tutti i cascinali.
Finalmente ne troviamo tre a breve distanza l’un dall’altro, nei pressi di Vipulzano.
A poche centinaia di metri sul cucuzzolo di un piccolo poggio troneggia severo ed imponente nella sua mole il medioevale castello del Barone austriaco V … , gran dignitario di corte e maresciallo.
Questo castello ora raccoglie i feriti nostri.
I tre cascinali in parola sono occupati in maggior parte a numerose donne e ragazzi e da qualche vecchio infermo.
Questi slavi non si mostrano troppo contenti del nostro arrivo ed oppongono difficoltà d’ogni sorta per non cedere i loro alloggi.
Forse i maltrattamenti, le rapine e le sevizie subite dai loro antichi dominatori li rende sospettosi e diffidenti anche verso di noi.
Si cerca coi miglior modi possibili di rassicurarli, ma non giovando, si cambia tono e senza più rispondere ai piagnistei delle donnicciuole , si stabilisce ogni cosa per il meglio.
I fienili sono vasti, benone, serviranno pel ricovero degli uomini; il fieno lo trasporteremo altrove.
Questa cameretta servirà da ufficio, l’altra per l’alloggio ufficiali. Le stalle possono contenere tanti cavalli – allungando la tettoia vi sarà ricovero anche per questo bestiame -. L’acqua potabile non manca; benissimo.
Siamo pienamente soddisfatti.
-“Domattina saremo qui, a rivederci.”
Un’ottuagenaria vecchietta, seduta sul limite della porta, ci guarda smarrita, stringendosi fra le ginocchia due amorini di bimbi dalla capigliatura biondo chiara.
Dai suoi occhi infossati scendono le lacrime che tergesi col dorso della scarna mano.
Mi muove a compassione ed avvicinatomi accarezzo i bimbi che gettano un grido di paura.
Dico qualche breve parola di assicurazione che nulla avranno da temere da parte nostra. Noi italiani, dico, siamo buoni e generosi, incapaci di una cattiva azione; lo vedrete, cara nonnina.
La povera vecchietta mi fissa attonita balbettando in slavo qualche parola ch’io non comprendo ma che indovino sia di ringraziamento.
Poi mi tende la mano e pronuncia la frase che corre sulla bocca di tutti i prigionieri nemici per rendersi benvoluti. “Bono italiano”.
Ben presto una cordiale simpatia si è allacciata fra noi e quella povera gente.
La diffidenza è scomparsa di fronte al contegno educato dei nostri soldati che fanno a gara per aiutare quelle donne nei lavori più pesanti. L’aiutano nel governo delle loro vaccherelle, ad attingere l’acqua nelle cisterne, a procurare loro la legna da ardere, a fare persino il bucato. Inutile dire che il nostro rancio serve anche pel loro nutrimento. Fanno dapprima una smorfia al pane, non conoscendo che la sola polenta, ma volta a volta prendono a gustarlo.
Così è. Il sangue latino non si smentisce giammai. Dignitosamente fiero nell’avversa fortuna non s’inorgoglisce e non incrudelisce giammai nel delirio della vittoria.
Col sesso debole è cavalleresco e non cerca l’amore colla violenza. La casacca del soldato non gli cambia l’animo ed ovunque e comunque è sempre buono, sempre sereno, sempre generoso.
Le belle e paffute ragazze che ai primi giorni a stento si facevano vedere, ora sono franche, sin troppo franche. Conversano ben volentieri con noi studiandosi d’indirizzarci parole in italiano e non si mostrano sdegnate ai frizzi galanti degli immancabili Don Giovanni.
Non indossano più i rozzi abiti dei primi giorni e man mano le vediamo comparirci alla sera con gonnelle da festa, coi capelli diligentemente pettinati e qualche nastro alla cinta.
Persino la nonnina s’è trasformata ed è più ardita. S’è stretta a me con trasporto filiale e s’affanna a raccontarmi un monte di storie, ch’io naturalmente non comprendo, ma che accenno col capo d’intendere per non disilluderla. Le vado insegnando qualche parola d’italiano. I due piccini che non l’abbandonano quasi mai e che mi si sono affezionati, cinguettano già tante parole che hanno subito imparato. Mi chiamano per nome, sanno salutare, augurare la buonasera e tante altre cosette.
Passo buona parte della serata così innanzi al focolare in loro compagnia mentre i miei compagni si divertono un mondo a giocare a tombola assieme alle ragazze.
Si delineano già varie coppie amorose.
I colleghi mi scherzano vedendomi sempre a fianco della mia vecchietta ed io per rivincita ho dichiarato ufficialmente ch’essa è la mia dama.
D’altronde sono il più anziano e debbo sostenere la parte del papà, vale a dire del più assennato.