2 Giugno 1916 (terza parte) – Mentre tuona il cannone

Mentre-tuona-il-cannoneVengo presentato al Comandante la Batteria, il Sig. Cap. Riva nobile Alberto.

E’ un giovane ventottenne, biondo, dal colorito roseo  sano. Le guance pienotte sono completamente rasate. L’occhio è irrequieto e penetrante, e si direbbe severo se non fosse quella prima impressione attenuata da un naturale sorriso sulle labbra. La persona, di media statura, dall’ampio torace e  dalle larghe spalle, attestano in lui una non comune vigoria, temperata dalle quotidiane fatiche della guerra.

– “Ho saputo che voi siete pittore. Ciò n’ha fatto piacere essendo io un appassionato amatore dell’arte. Sarà per me titolo di vanto avervi alle mie dipendenze. Qui non vi mancheranno soggetti interessanti sotto ogni punto di vista. Vi lascio da oggi completamente libero di esercitare la vostra professione. La guida Giusti resterà a vostra disposizione; è un bravo ragazzo che vi terrà buona compagnia.”

-“Ringrazio il Sig. Capitano per l’immeritata attenzione della quale mi sento onorato,” rispondo tutto confuso, “ma le confesso sinceramente che non sono affatto quell’ artista come le si sarà fatto credere. Coltivo un pochino l’arte della pittura per un’innata passione che ho in me, ma purtroppo le mie forze sono ben meschine. Farò tuttavia del mio meglio per essere gradito alla S.V.”.

-“Lodo la vostra modestia quantunque mi permettiate di dirvi che non vi credo sincero su questo punto. Ci tengo a dichiararvi, per scarico di coscienza, che questi luoghi sono pericolosissimi, battuti quasi ogni giorno dal fuoco nemico. Non è perciò troppo igienico il soggiornarvi. Voi siete territoriale ed il vostro posto non sarebbe qui ma a Dolegna,né io mi permetterei  insistere, conoscendo le mie responsabilità. Vi lascio libero di accettare o no; non vorrei avere dei rimorsi nel caso vi accadesse qualche infortunio. Resterete qui sino che vi piacerà restare.”.

Soggiogato da quei tratti di squisita delicatezza, risposi francamente che ero ben lieto di accettare il suo invito. Ed aggiungo con un accento di fierezza: “Sono romagnolo.

Il Capitano, visibilmente commosso, mi porge la mano e me la stringe forte.

Passo il rimanente della giornata a visitare l’accampamento, soffermandomi specialmente ai pezzi.

In un angolo morto del monte che in quel punto prende il nome di Zamedwedje dal piccolo villaggio sottostante e pur esso ridotto un ammasso di ruine, vi sono le minuscole baracche per gli Ufficiali.

Si direbbero casette di lillipuziani, tanto sono anguste da contenere stentatamente una branda, un baule ed una sedia.

Un’assicella, assicurata poco sotto la piccola finestra dai vetri verniciati di nero, serve  da scrivania e da .. toilette.

Queste baracchette sono poi così bene mascherate co frasche, con scoglietti e pietrame frammisto a zolle di terra ricoperte di giovane erbetta, da renderle quasi invisibili anche a breve distanza.

Di fronte ad esse è un vasto prato, che il genio dei bravi soldati ha trasformato in un bellissimo giardino.

I proiettili nemici, esplosi ma non del tutto frantumati, funzionano da vasi; ed allineati lungo le aiuole, questi terribili istrumenti di morte contengono ora i più belli e svariati fiori che impregnano l’aria col loro profumo.

Pur tra i disagi e gli orrori di questa immane guerra, il soldato Italiano trova tempo per esplicare, comunque, quell’innata ed ereditaria passione per tutto ciò che è bello, che è gentile, che è soave.

Sovrumanamente bello e fiero nei momenti del fuoco, sa ritornare l’eterno fanciullone dal cuore buono e semplice.

Vedo un gruppo di artiglieri  scherzare attorno una bella capretta dal manto nero come l’ebano e farle fare salti e piroette e persino camminare colle sole zampe posteriori.

-“L’abbiamo truvata piccirilla cussì,” mi dice la guida, “abbandonata fra un roveto e mezza morta. Ma nui l’avimmo salvata e cresciuta bella e intelligente. Vedite cumme salta? Madonna santa, è la nostra mascotte; non ci lascia un minuto, neppure quando simmo ai pezzi. Non ha più paura dei colpi, povera bestiola. La chiamammo Gigetta.”.

Ma, e il vostro accampamento, “ domando, “dov’è?

-“Un po’ per tutto, Madonna santa; nui non le avimmo le baracche, ed ogni pertuso fra sti scogli è buono.”

Non m’ero accorto, difatti, che qua e là fra le alte piante e quegli enormi scogli sovrapposti talora gli uni sugli altri come per virtù di qualche ciclope v’erano delle tane il cui ingresso era celato da frasche messe appositamente.Alcune di queste buche erano situate persino ad otto o dieci metri d’altezza e vi si accedeva mediante incassi praticati sullo scoglio o pioli di legno conficcati fra le screpolature di questo, sì da darmi l’illusione d’un villaggio di trogloditi.

“Ma quando piove, come resistete là dentro?”

La guida mi guarda sorridente, poi stringendosi nelle spalle “Come Dio vuole! A tutto si fa l’abitudine, non siamo in guerra?”

Non nascosi un gesto di ribrezzo al vedere uscire da una di quelle tane due enormi topi dal pelo irto e dai musi spaventevoli, e gironzolare tranquilli come certi di non venire disturbati.

-“E vi abituerete anche alla loro compagnia, ed a qualche cosa altro di peggio …”.

-“Ma non fate loro la caccia?, Perché non li distruggete?”

-“Distruggere? Madonna santa, ci vorrebbe altro! Questi maledetti si moltiplicano come i .. pulci. La guerra è il loro paradiso; trovano cibo da per tutto e in abbondanza. D’altronde sono inoffensivi.”

Un fruscio di rami mi fa volgere il capo in su e vedo un animaletto della grandezza di un gatto, dal pelo rossastro ed una superba coda, balzare da un albero all’altro e perdersi veloce fra la macchia.

“Uno scoiattolo”, esclamo sorpreso, ve ne sono molti qui?

-“Oh, tanti! Ed anche dei porcospini, dei conigli selvatici, delle volpi, delle splendide pernici … e dei cucchi, Madonna santa, è un finimondo! Li sentirete tutta la notte che sinfonia! Cu, cu, cu, cu. Di quando in quando avimmo poi la visita di quegli animalacci del malaugurio che sono i corvi. Ci arrivano a sciami, Madonna santa, poi roteandosi in vari circoli t’ispezionano bene da per tutto per vedere se trovano qualche carogna di mulo o qualche povero cristiano morto. E riprendono la strada .. anche per sti animali dell’inferno la guerra è una cuccagna, Madonna santa!”

Continuiamo così la nostra gita, diretti ai pezzi, a poche centinaia di metri dall’accampamento.

Il bosco si fa sempre più rado mano a mano che si discende verso Plava, che rimane proprio sotto di noi.

La quota 983 ci appare ora in tutto il suo orrido. Il bosco è scomparso ed il terreno, d’un colore rosso mattone, è letteralmente sconvolto dai colpi: – – “Ma come vi possono vivere degli uomini lassù?” mi domando.

Le nostre trincee si profilano a zig-zag e salgono, salgono sino alla cima a contatto di pochi metri da quella austriaca.

In quel palmo di zona neutra sogghigna il fantasma della Morte, attendendo che un imprudente sporga il capo dal parapetto della trincea.

Visto da quella posizione, il gobboso massiccio del Cuk nasconde  il Santo del quale altro non vedi che la sua punta ardita, coronata dal santuario che gli Austriaci hanno trasformato in fortezza ed in un prezioso osservatorio.

Così è; essi non si fanno scrupolo di bersagliare di granate le nostre chiese ed i nostri ospedali che, protetti dalla sacra e inviolabile bandiera della Croce Rossa, raccolgono i doloranti eroi; queste iene non risparmiano neppure i pietosi e bravi militi della sanità intenti a raccogliere i feriti ed a trasportare i caduti; questi nefandi esseri, che di uomo non hanno che il nome, cercano col tradimento di meglio offendere sotto l’ombra dei santuari, ben sapendo che noi sappiamo osservare più di loro le leggi della civiltà e del diritto.

Alla destra di chi guarda è il Sabotino colle sue pareti boschive strapiombanti sull’Isonzo che rumoreggia al basso, fra quegli impressionanti dirupi, anelante di raggiungere la verdeggiante pianura.

Qua e là dei cartelli infissi  a dei pali – per cura del nostro Comando – avvertono :”Zona battuta dal fuoco”, “Pericoloso sporgersi”, “Zona scoperta”.

Trovo i bravi artiglieri intenti a far la toilette ai loro pezzi, a ripulirli dalla polvere, ungerne i complicati congegni, provare i volantini e le molle di scatto. Altri disporre per bene nell’attigua riservetta i vari proiettili, assicurare bene gli inneschi nelle granate o togliere il cappuccio di protezione alle spolette degli srapnel.

E tutto ciò con una cura meticolosa, paziente, con un’aria soddisfatta di chi si prepari ad abbigliarsi per un ballo.

Il sergente, capo pezzo, assiste a quei lavori preparatori calmo, sorridente . “Mi raccomando di verificare bene le vostre maschere, non dimenticatevelo, ragazzi.”

In breve gli abbruniti cannoni sono in ordine perfetto, non resta al puntatore che regolarne il tiro, secondo gli ordini che riceverà.

Questi artiglieri sono affezionati al loro pezzo come ad un più caro amico. Ne conoscono il linguaggio e i fremiti. Sotto la pressione dei loro muscoli forti, del loro polso che non trema, obbediscono prontamente a tutte le veloci e ardite manovre. Colpiscono giusto, atterrano, distruggono, incendiano inesorabilmente, a seconda del proiettile che è introdotto nell’arsa gola.

Il loro rombo è il terrore del nemico, è l’esultanza degli artiglieri, che, nell’ebbrezza del successo, non avvertono minimamente né la stanchezza, né il pericolo, né i dolori delle sanguinanti orecchie, né quello degli occhi e delle mani ustionate.

Questi bei giovani, robusti ed allegri sempre, io li contemplo ora con un senso di rammarico di non potere al par d’essi aver l’onore ed il vanto di manovrare quegli splendidi ordigni di vittoria.

-“Ma perché non lo posso?”, mi domando, ”forse perché ho qualche anno più di loro, forse che non mi reggerebbe il cuore?

Poggio, con un senso di riverenza, il palmo della mano sul lucido acciaio e ne provo un brivido, un’attrazione, una voluttà strana, misteriosa.

A quel contatto il sangue mi affluisce al cervello; avverto nel mio essere una trasformazione.

Non sono più io; sparisce in me il padre, lo sposo. Non mi vedo che militare, ed artigliere.

Per la prima volta sento in me forte, solenne, la voce della mia Patria. Per la prima volta comprendo quale sia il mio dovere, e rivolto ai compagni che mi fissano silenziosi:

-“Miei giovani e valorosi amici,” grido, “ non disdegnerete ricevermi fra voi nei momenti dell’azione. Voglio anch’io prestare la mia modesta opera qui al pezzo; voglio dividere con voi e i pericoli e gli entusiasmi. Sento di non poterne fare a meno. Mi accettate?”

Commossi a quei miei detti, mi si serrano intorno porgendomi le destre.

Oh momenti indimenticabili!

Volgo il capo per non farmi scorgere due goccioloni che mi rigavano le gote; quando mie vedo innanzi la nobile figura del capitano.

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