30 Ottobre 1917

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Due orette dopo si riprende il viaggio ma ben presto siamo presi di nuovo e stretti da quella massa d’uomini, si che c’è dato avanzare dieci metri ogni quarto d’ora.

Una squadriglia di aereoplani austriaci da bombardamento vola a bassissima altezza sopra quella immensa fiumana  di uomini in ritirata, e li segue senza gettare una bomba.

E’ la mancanza di proiettili od un tratto inconcepibile di umanità che li trattiene dal commettere una vera strage? Non so; so solo che lo spavento che provo è grande, ogni minuto è un secolo, la mia vita è ora attaccata ad un filo ben fragile.

Scorgo sulle navicelle i nostri nemici, in certi momenti s’abbassano a meno di cinquanta metri.

Il rombo assordante dei motori mi da la sensazione d’una mitragliatrice in azione ed abbasso il capo e mi restringo in me stesso come fosse il mio ultimo momento.

  • “Vedo tanti che conservano ancora il fucile, ma perché non si spara, il bersaglio non è difficile … “.
  • “Se essi non ci bombardano è segno che ci vogliono risparmiare,” mi risponde il sergente, “ provocarli con qualche fucilata sarebbe peggio per noi.”

Passano così le ore per un percorso minimo.

Un vero tormento!

Trovarsi nell’impossibilità di muoverci e di difenderci mentre il nemico ci è oramai alle calcagna.

Le scariche delle mitragliatrici ci avvertono non esservi oramai più scampo.

Siamo presi in mezzo né possiamo sperare di salvarci traversando il vicino ponte della Letizia sul Tagliamento, avendolo gli Austriaci già fatto saltare per tagliarci la ritirata.

Che è avvenuto in quel tragico momento? Ho la mente ancora confusa. Ricordo il grido altissimo : “Si salvi chi può”

In un baleno quella marea d’uomini si allarga, si disgrega, tutto viene abbandonato nella fuga precipitosa attraverso i campi melmosi. Automobili, cannoni, carri, ambulanze ricolme di feriti … I miei uomini distaccano a colpi di coltello i finimenti che trattenevano i cavalli all’avantreno, e via a pazzo galoppo attraverso i campi.

Rimango così solo sull’avantreno, quasi indeciso, come paralizzato dalla scena che si svolgeva ai miei occhi.

La fucileria si fa più intensa; non v’è un minuto da perdere e salto a terra e fuggo, fuggo senza saper dove, seguendo gli altri già distanti.

Avrò fatto circa mezzo km in mezzo a quei terreni acquitrinosi quando mi vengono meno le forze e mi piego su me stesso addossato ad una quercia.

Non mi era possibile ritentare la fuga in quelle condizioni e rivolgo una breve preghiera alla Madonna.

Oh la mia Madonnina! No, non la voglio abbandonare così e mi decido ritornare sui miei passi per ricuperarla.

Il pensiero di non poter oramai più sfuggire alla cattura s’era già addentrato nel mio cervello, che m’ero già rassegnato a questo sacrificio.

Bramavo perciò non separarmi dai miei oggetti cari e dalla mia Madonnina che m’avrebbe portato fortuna.

Mi faccio animo e strisciando rasente i filari delle viti e degli alberi per rendermi meno visibile, arrivo sulla strada e rintraccio il mio avantreno.

Riprendo lesto la mia preziosa cassettina e come uno scoiattolo fuggo e mi riesce di raggiungere una piccola casa colonica e mi serro dentro.

La casa è deserta; tutti fuggiti. E ora che faccio?

Sento un nitrito di cavallo proveniente dalla corte.

Mi sporgo cauto dal finestrino, non vedo nessun uomo ma un bel cavallo morello che, senza sella, gironzola per l’aia in cerca di un filo d’erba.

E’ la provvidenza che me lo ha inviato.

Esco fuori ed afferrato il cavallo l’introduco entro casa.. Coll’aiuto di pezzi di corda ritrovati nella stalla, assicuro il mio piccolo bagaglio sulla groppa del cavallo. Piego bene il pastrano che mi funzionerà da sella ed esco armato di un solido bastoncino.

Inforco la mia cavalcatura e via in direzione opposta a Codroipo.

E continuo sperduto fra l’immensa distesa dei campi paludosi, intersecati da gonfi ruscelli, la penosa cavalcata verso una destinazione a me ignota, guidato solo dall’istinto, o meglio dalla mano di Dio.

Dove vado? Non lo so! Vedo nuclei di truppe fuggire da una parte, mentre altre masse fuggono in senso inverso. Nessuno sa precisare la giusta direzione che ci possa trarre in salvo.

Abbandono le redini sul collo del povero cavallo sfinito dalla corsa e mi lascio trasportare da lui.

Già abbuia ed il silenzio è rotto a tratti dallo scoppiettio della fucileria che diviene man mano più rada.

Mentre traverso un vicolo campestre, ridotto ad un vero ruscello, mi sento chiamare forte:

– “Signor Joli, signor Joli”.

Mi volto di scatto a quella voce per me non ignota e chi vedo? La mia guardia daziaria Parisi, caporale di fanteria.

Contenti come all’incontro di fratelli, ci abbracciamo chiedendoci tante cose.

  • “Amico,” gli dico nel lasciarlo, non so se potrò schivarmela a buon mercato …”.
  • “Ed io? ..
  • “Ebbene, il primo di noi due che avrà la fortuna di ritornare a Siracusa, porti i saluti alla famiglia dell’amico.”
  • “ Benissimo e che Dio e la Beata S. Lucia ci salvino tutti e due. “

E strettomi la mano per un’ultima volta riprese la sua fuga, con altri uomini da altra parte.

 

 

E’ già notte avanzata ed io seguivo il mio viaggio traverso i campi per evitare le strade battute dalla cavalleria tedesca. Non mi reggo quasi più dai dolori al dorso e la povera bestia fatica a svincolarsi da quei pantani.

Ma dove andare? I due ponti di Codroipo già saltati e la ferrovia in mano al nemico.

Scorgo poco lungi una casetta seminascosta da alti abeti. Mi dirigo a quella volta. Assicuro l’animale sotto il piccolo portico e lo provvedo di fieno. Io   entro nel misero abituro deserto e fortunatamente rinvengo, nella madia, un bel pezzo di polenta che divoro. Spargo un po’ di paglia a terra e mi corico, tutto contento di concedere un po’ di riposo al mio povero corpo squassato …… .

…..  Nel mio sonno agitato ho una visione, è il mio quadretto che si libra in alto ai miei sguardi. La Madonnina dipinta si anima e mi grida di ripartire subito e col braccio teso m’indica la direzione del mio cammino.

Mi sveglio di soprassalto ed allungo una mano per assicurarmi che la mia cassettina è sempre lì. Sento il cavallo che mangia ancora il suo foraggio.     La testa pesante mi ricade sulla spalla  e sto per riprendere sonno quando una voce interna mi grida :”Fuggi di qui, non indugiare.”

Mi sollevo a fatica e così al buio preparo il mio cavallo e lascio l’ospitale casetta con un rimpianto. Ma perché, mi domando, sono partito così presto? Non potevo rimanervi un altro poco per meglio riposarmi? E questa povera bestia  che si regge a stento?..

A trenta metri dalla casetta, poco lungi dal viottolo, il cavallo s’arresta di colpo.

Una massa nera è a un palmo dalle sue zampe. Guardo bene … Dio! Possibile!

D’un balzo sono a terra.

E’ una donna, morta forse?

La scuoto, le sollevo il capo, sento il suo respiro.

La giovane donna riapre gli occhi, balbetta parole incomprensibili e ricade come corpo morto.

Con uno sforzo di muscoli che mi parve miracolo la risollevo da terra e quasi di peso riesco a ritornare alla casetta e la corico sulla paglia.

Aggiusto bene il mio pastrano davanti al piccolo finestrino e trovato un po’ di legna  accendo un bel fuoco.

La povera donna comincia a rianimarsi. Io le porgo la mia borraccia che conteneva ancora un po’ di cognac di Palmanova. Lo serbavo per circostanze estreme.

Essa, alla luce della fiamma, mi guarda stupita e timorosa.

Le faccio animo e l’obbligo a bere un sorso del prezioso liquore.

La poveretta si rianima tutta e mi guarda fisso.

  • “Benedetto! Benedetto!” pronuncia finalmente, se non eravate voi sarei morta di certo “ e mi afferra le mani attirandomi a se, poi forse dolente del suo atto si ritrae coprendosi il volto colle palme delle mani, quasi temesse la mia vicinanza.

Cerco nel miglior modo possibile di rassicurarla sulle mie oneste intenzioni e presola per mano la chiamo sorella e le giuro, per quanto sta nelle mie forze, di portarla in salvo.

L’espressione del mio volto e le mie parole dovettero convincerla subito e sollevarle l’anima sconvolta.

Emise dal suo petto un profondo sospiro e cogli occhi velati di lacrime mi getta le braccia al collo.

In breve narrò la sua pietosa storia.

Profuga da Asiago da più d’un anno abitava con sua madre e due fratelli minori nel vicino paese di Codroipo. Poi il disastro, le schioppettate, la fuga, gli Austriaci … . In  quel turbine perdette di vista i suoi di casa ed errò disperata fra i campi gridando i loro nomi. Un momento si vide travolta sotto le zampe di cavalli di ulani, le vennero meno le forze, cadde ….. poi non ricordò più nulla … attendeva la morte pietosa.

  • “Sapete chi vi ha salvato?”
  • “Ma voi, benedetto!”
  • “No, è stata la Madonna e propriamente questa che serbo in questa cassetta.”

La poveretta si solleva sulle ginocchia come inebetita e mi fissa negli occhi.

Getto una bella manata di paglia sul fuoco ed estraggo in fretta dalla cassetta il mio quadretto e glielo pongo fra le mani.

Alla vivida luce della fiammata potei contemplare la sacra effige della mia protettrice ed il volto rosso dall’emozione di quella giovane donna che accostate le labbra tremanti alla tela si profondeva in devoti baci.

  • “Come vi chiamate?”
  • “Maria.”
  • “Ebbene, Maria, bisogna pensare a fuggire di qui, non conoscete altre strade che conducano al Tagliamento? Vi sono nelle vicinanze altri ponti oltre quelli di Codroipo?”

La donna scuote il capo in senso negativo, poi afferrandomi le mani .”Si, ora rammento, vi sono passata or fa un anno, si a Madrigio, ma è ancora distante. Andiamo, andiamo, amico mio.” E fa per levarsi in piedi ma ricade come un cencio sulla paglia. “Non posso più reggermi”, singhiozza, “mi sento la persona tutta pesta, ahimè non potrò seguirvi. E intanto voi perdete un tempo prezioso causa mia … ascoltatemi; Madrigio è distante è vero ma prendete, al primo crocicchio che trovate al termine di questo vicolo, il sentiero di destra  proseguite sempre dritto. Traverserete una grossa borgata e di fronte alla chiesa prendete la strada di svolta a sinistra, essa vi conduce a Madrigio. Con questa scorciatoia vi avvantaggerete di almeno 5 km. Io non posso seguirvi, buon uomo, grazie di cuore del bene che mi avete fatto e che il Signore vi assista.”

Mentre la poveretta così si esclamava torcendosi dolorosamente fra la paglia io aggiustavo la cassetta sul cavallo e trovato un sacco lo riempio a metà di fieno e lo aggiusto in maniera da sembrare una soffice sella.

  • “Maria, sono pronto, fatevi coraggio, io non voglio abbandonarvi così, oramai divideremo assieme le nostre sofferenze sino a che vi abbia ricondotta in salvo; coraggio.”

La sollevo da terra, malgrado i suoi dinieghi, e le sussurro parole di conforto.

Le sue braccia si strinsero forte e convulse al mio collo, le nostre faccie si toccarono e in quel contatto ebbi l’impressione di ricevere un bacio.

 

 

Io a piedi le cammino a fianco sorreggendola con una mano nel timore che una brusca scossa del bravo cavallo avesse a farla cadere.

La poveretta mi addimostra tutta la sua riconoscenza con mute strette più eloquenti della parola.

Non ardisco confessarle la mia stanchezza, ma lo sforzo che faccio per reggermi in piedi è enorme e mi raccomando alla Madonna di darmi forza.

Oltre alla stanchezza fisica s’aggiungono i dolori viscerali anche per la mancanza di cibo. Porto la mano alla borraccia e la scuoto; v’è ancora un po’ di liquore ma penso alla mia povera compagna e lo serbo per essa.

Si viaggia così tutta la notte senza nessun incontro pericoloso, ma c’incontriamo per più volte in seri ostacoli a causa della pioggia  del giorno avanti. Ora sono acquitrini, ora fossati profondi più d’un metro. Debbo fare appello a tutte le energie rimastemi per svincolare me ed il cavallo da quei guadi pericolosi coll’acqua fino al petto.

Tremo dal freddo mentre ho la testa in fiamme, gli occhi mi bruciano ed un greve affanno mi tormenta il petto. E’ la febbre.

D’un tratto mi piego sulle ginocchia e stramazzo a terra.

Maria dà un grido e si lascia scivolare giù dal cavallo che s’è arrestato.

Si trascina vicino a me, mi afferra il capo, m’accarezza e piange … è disperata.

Un sorso di cognac mi rianima un poco e rassicuro la povera compagna di sventura che non ho nulla, che ho incespicato e sono caduto, che non pensi a me.

Mi rialzo e colla forza della disperazione risollevo quella disgraziata e la rimetto a cavallo. ………….

Alle prime luci dell’alba siamo nei pressi di Madrigio; ecco il sospirato ponte , ecco la nostra salvezza!

La fucileria austriaca ci segue da vicino e già masse di cavalleria tentano  tagliarci il passo ma  vengono arrestate dalla massa umana che si riversa come una marea all’imbocco del ponte.

E’ un momento d’angoscia.

Faccio scendere la compagna dal cavallo nel timore che possa essere facilmente colpita dalla mitraglia che fischia sul nostro capo.

La poveretta si stringe alla mia persona tremando come una frasca.

Con una mano conduco per la briglia il cavallo; coll’altro braccio libero sostengo per la vita la povera Maria e furioso mi spingo colla testa fra quell’ammasso di uomini.

Con sforzi inauditi riesco ad aprirmi un varco e sto per infilare il ponte quando mi sento strappare violentemente dalle braccia la povera donna che getta grida di disperazione.

Mi volgo e vedo un carabiniere spingerla indietro brutalmente.

E’ un attimo. Mi è impossibile né fermarmi né tampoco ritornare indietro tanta è la ressa che mi spinge avanti.

  • “Maria! Maria!” grido con la disperazione nel cuore … Mi risponde un altro grido straziante , inumano … .

Uno scroscio infernale solleva il ponte come un terremoto, poi tutto s’innabissa nei vortici del grande fiume. Sono le sei e un quarto.

Salvo! Salvo per miracolo!

Inebetito dalla spaventevole  tragedia svoltasi ai miei occhi, rimonto a cavallo e fuggo traverso i campi per sottrarmi al tiro nemico.

L’intelligente animale sembra comprendere il pericolo imminente e corre veloce senza bisogno dello stimolo dello sperone.

Poi affranto dalla stanchezza mi getto a terra ai piedi di un grosso noce assicurandomi le redini del cavallo intorno al braccio.

Involontariamente mi esce dalla gola arsa l’aria della  canzone popolare: “O donni, donni assassini, li spusi a li confini …”.

Le mie labbra accompagnano la vocina stridula della mia Joluccia; il suo canto mi ronza alle orecchie.

E mi compare innanzi agli occhi la visione di tutta la mia famiglia …. Sogno io forse? O sono pazzo? … Mi premo colle palme delle mani la mia povera testa che delirava.

Poi ho una crisi di pianto ed un fremito convulso scuote il mio corpo affranto.

Piango; ma questo pianto è un ristoro, è uno sfogo del mio cuore oppresso; è la migliore preghiera di ringraziamento ch’io possa rivolgere al buon Dio.

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