29 Ottobre 1917

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Avvolto in un telo da tenda per meglio proteggermi dalla pioggia ho trovato posto sull’avantreno con tutte le mie cose e sonnecchio tranquillamente mentre le generose bestie divorano la strada al trotto forzato.

Si giunge così a Palmanova verso le tre del mattino e facciamo sosta sotto una tettoia uso stallaggio, a pochi passi dalla città.

Essa è tutta in fiamme ed in preda al saccheggio da parte delle nostre truppe.

Io resto a custodia dei cavalli mentre gli amici fuggono verso la città in cerca di bottino.

Verso le ore nove sono di ritorno carichi come re magi.

Non hanno trascurato provvedersi di liquori e biscotti. Nessun comando militare è a Palmanova; gli ufficiali sono spariti come per incanto e quelle numerose truppe d’ogni arma, abbandonate a se stesse, non trovano di meglio che darsi al saccheggio ed alla gazzoviglia.

E’ un’orgia di novelli lanzichenecchi. E’ un’onta indelebile che graverà eterna sul nostro esercito, già sì invitto e disciplinato.

Ma di chi la colpa?

Tutto ciò non può essere che il prodotto d’una nefanda trama politica e le frasi colte a volo a qualche raro gruppo di ufficiali me ne fecero troppo convinto.

Ma perché nessuno dirige questo grande  movimento di ripiegamento, perché non si riorganizzano nuclei di resistenza per la protezione del grosso dell’esercito? Perché non si disciplinano queste masse e non le si dirigono verso la via della salvezza, al di là del vicino Tagliamento? Perché?

Vedo persino nei campi rizzare delle tende, mentre tanti altri prendono d’assalto i cascinali e vi si insediano comodamente quasicchè il nemico non fosse lì vicino a raggiungerli.

Vista vergognosa! Truppe ubbriache che cantano e fanno piroette come in un giorno di baldoria.

Ne vedo tanti, presi dall’alcool, supini a terra lungo i margini dei fossati, povere vittime della loro intemperanza!

 

 

Si riprende il viaggio verso Codroipo, ma s’è costretti procedere molto lentamente a motivo dell’incredibile ammassamento dei carri e delle truppe.

Entro i fossati ricolmi d’acqua v’è una quantità di poveri cavalli e muli col loro carico addosso che si dibattono fra gli spasimi di quella lenta agonia.

Nessun braccio che li tragga a salvamento.

Stramazza un uomo a terra e cento talloni gli passano sul povero corpo. L’egoismo brutale dell’uomo pel suo istinto di conservazione trascende il limite delle leggi umane. Non v’è pietà per nessuno; ognuno pensa alla sua pelle e pur di aprirsi un varco in quella fiumana di uomini, pur di strappare ad un disgraziato la sua cavalcatura, non si perita di commettere un’azione criminosa.

E tutto questo flagello perché?

Perché è sparito il comando.

Mi è impossibile descrivere tutto l’orrido di questa vergognosa ritirata.

All’alba ci ritiriamo in un cascinale per dar nutrimento ai cavalli e per riposarci un pochino noi pure.

Mi sento forti disturbi gastrici e tremo come una foglia sotto gli abiti inzuppati d’acqua.

Ma davanti ad un gran focolare vi trovo quel ristoro insperato e ringrazio Dio.

Quei buoni contadini ci offrono polenta e vino a volontà; tutto ciò che dispongono.

Possiamo così acquietare gli stimoli della fame e rimetterci in forze.

 

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