26 Ottobre 1917

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La graziosa cittadina di Cormons è presa di mira dalle artiglierie nemiche che tentano colpire quel nodo ferroviario sorto a grande importanza, nonché gli immensi depositi di munizioni, viveri e materiali bellici che si trovano nelle sue adiacenze.

Il bombardamento si fa ora più intenso e tutta la popolazione civile fugge terrorizzata.

Rimasto con pochi uomini al distaccamento, vengo comandato di recarmi alla lontana Plava per tentare il recupero di oggetti di selleria indispensabili e di ricondurre quei pochi uomini nostri, rimasti là alla custodia di quel piccolo deposito nostro.

Viaggio quanto mai pericoloso e disagevole; ma parto volentieri nella speranza di riuscire bene.

Mano a mano che mi avvicino a Cormons incontro immense squadre i lavoratori del fronte procedere stanchi e collo spavento negli occhi, tutti curvi sotto i loro fardelli di cenci.

Sono vecchi sessantenni, sono giovani dal fisico inadatto alle fatiche della guerra e rifiutati dall’esercito; sono giovanetti che la miseria ha strappato dai loro focolari domestici  e fatti operai e uomini prima ancora di essere adolescenti.

Alcuni di questi portano a tracolla la loro chitarra, unica loro amica e conforto del loro volontario e penoso esilio.

Passano veloci autocarri militari recanti donne e bambini, pigiati nella stretta del terrore.

Il bombardamento incalza; nuvoli rossigni di fumo s’elevano sulla sventurata città.

E passano frettolosi, cogli occhi torvi i poveri fuggitivi.

Vedo uomini portare al collo due, fino a tre bambini. Povere madri coi lattanti nascosti fra l’ampio scialle, come a protezione, fuggire, fuggire .. .     Passano carretti tirati da pigre vaccherelle, pieni zeppi di bimbi dai vestitini multicolori.

Una povera vecchierella, curva sotto il peso d’un voluminoso fardello, si trascina due bambini che strillano, invocando la mamma.

Passandole vicino, essa m’ha guardato con occhi da pazza. “Perché li avete lasciati venire fin qua? Vigliacchi, vigliacchi!”

Quella frase mi mette l’animo in tempesta.

V’è del vero nell’ingiuria di quella disgraziata?

Oh il dubbio terribile che si fa strada nel mio povero cervello!

Ecco mandrie numerosissime di bianche vacche sospinte da soldati bifolchi.

Provengono da Plava bombardata e il loro latte serviva alla cura dei ricoverati di quegli ospedali da campo.

Vedo trattrici trainare i giganteschi cannoni di lunga portata ed i carri di munizioni.

Ma è al bivio della stazione che assisto ad altre scene pietose. E’ l’esodo di  numerosi ammalati.

I più gravi, distesi su barelle, vengono stivati sui carri bestiame, e via via è un succedersi d’altri vagoni  … poi il lungo convoglio parte lentamente verso l’Italia, trascinandosi quel carico dolorante.

Procedo coi miei uomini a grande stento fra quell’ammassamento di persone e di carri in fuga.

Tutti si ritirano mentre noi si va incontro al pericolo. Arriveremo almeno in tempo.

  • “Dove andate, caporale,” mi grida un carabiniere di servizio al ponte ferroviario.
  • “A Plava, per servizio d’urgenza”.
  • “ A Plava?” ripete il milite della benemerita, fissandomi in faccia. Poi, alzando le spalle “Proseguite pure e buon viaggio”.

Dopo cinque ore di travagliato viaggio arrivo al bivio di Guisca  in alta montagna.

Di lassù mi è dato di vedere con terrore lo spettacolo della disastrosa ritirata delle nostre truppe.

Sono migliaia e migliaia di soldati, stracciati, inebetiti, che fuggono senz’armi verso le retrovie.

Qua e là cavalli morti o moribondi, carri rovesciati e abbandonati ai lati della strada.

Poveri soldati bocconi a terra, cogli occhi sbarrati, attendere la morte per esaurimento.

Un vociare confuso, un chiamarsi; odo pure dei canti :”Cosa dirà Cadorna, di questa ritirata … .”

Non comprendo più nulla.

Un generale gironza avanti e indietro colla pipa in bocca e le mani in tasca, con un’indifferenza ed un cinismo ributtante.

E i nostri fuggono, fuggono …   chi impreca e chi canta .. e il nemico incalza e s’avanza come un torrente che straripa.

Già i ponti di Plava sono minati e pronti a saltare in aria.

Tento discendere al basso, prego, scongiuro ma indarno : i carabinieri me lo impediscono.

  • “Ma non vedete che ho tanto d’ordine in iscritto? Laggiù vi sono soldati della mia batteria .. “.
  • “E’ troppo tardi, ritornate indietro.”

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