Verso le 17 il teatrino era in perfetto ordine.
Il sontuoso pranzo che precedette lo spettacolo fu oltremodo improntato alla massima allegria e cameratismo.
Il comandante la sussistenza mi volle alla mensa, malgrado le timide proteste del mio tenente Vandoni, che sedutomi a fianco era raggiante per l’opera eseguita dal suo ammalato.
Una scelta musica di violini, mandolini e chitarre rallegravano quel convitto.
Gli artisti teatrali erano in buona parte ufficiali.
Macchiette, canzonettisti, scherzi comici. Un programma, insomma, ben organizzato ed attraente.
Alle due di notte, accompagnato dal tenente, faccio ritorno al mio ospedale.
La sala era immersa nella penombra e in un profondo silenzio, rotto da qualche lieve gemito di sofferenti.
Mi dirigo in punta di piedi al mio lettino.
L’amico Brunori scatta di sotto le lenzuola, col suo berrettino bianco in testa, come un pupattolo spinto dalla molla che serra nel ventre.
- “Crapulone”, mi sussurra all’orecchio, ”hai pensato almeno al tuo amico?”
- “Potevi dubitarne?” E rovesciata la tasca interna della giubba, lascio cadere nelle sue palme tese una pioggia di briciole.
I poveri biscotti si erano miseramente frantumati.
Il sergente, addetto alla posta dell’ospedale, è un frate dei minori osservanti. Un pezzo di ragazzone dalla faccia quadra e larghe spalle. Rude nei movimenti e nelle parole, ma di un cuore ottimo.
- “Ho da farle vedere un bel quadretto, vuole?”
- “ Ben volentieri.”
Due minuti dopo mi presenta un artistico pastello raffigurante una Madonna col Gesù addormentato sul suo grembo.
Un meraviglioso capolavoro, una espressione di mistica materna beatitudine sorprendente.
Un’idea mi balena alla testa. Tentare di ricopiarlo.
Il frate acconsente di lasciarmi il quadretto per qualche giorno.
Con una lena febbrile mi accingo alla difficile impresa. Ci riuscirò, Madonna mia, a ritrarvi così bella, così soave?
Dieci giorni dopo il mio dipinto faceva il giro di tutte le sale, strappando ammirazione ed elogi.
Io non stavo in me dall’intima soddisfazione e feci voto di custodire la mia Madonna e di erigerle un piccolo altarino al mio ritorno in famiglia.
Debbo confessarlo francamente che non insuperbii con me stesso per il buon risultato del lavoro, attribuendolo alla divina grazia della Madonna.
Troppo bene conoscevo le mie meschine qualità artistiche per farmene un merito.
L’avrei mai supposto che un prossimo e disastroso giorno mi sarebbe stata involata da mano amica?