Fatto un piccolo involto di biancheria personale, mi congedo dai miei ufficiali e dagli amici di batteria, dolente di non potere ossequiare il mio capitano, temporaneamente assente.
Contro le mie supposizioni, la mia chiamata fu più presto ch’io nol credessi.
Con che animo lasciassi la mia vecchia batteria lascio dal descrivere.
Durante il tragitto, che m’avvicinava al comando del gruppo, la mia mente errò in un caos di pensieri e l’immagine della moglie e dei figli m’era fissa agli occhi, insistente e quanto mai dolorosa.
Un triste presentimento gravava sul mio spirito e mi chiedevo ove fosse andato il mio sangue freddo di prima.
A pochi passi dal comando è un caffè.
Vi entro e trangugio d’un sorso un bicchiere di marsala per rianimarmi.
Arrossivo al pensiero che le persone potessero leggere sul mio volto le mie apprensioni.
Forzandomi di sembrare calmo m’introduco con aria franca, direi quasi marziale, nell’ufficio del maggiore e attendo sull’attenti i suoi ordini.
Questi solleva il capo da un fascio di carte: “Ah, siete voi! Ebbene, ritornate pure alla vostra batteria, siete sostituito da un altro caporale offertosi or ora volontario al vostro posto. Andate pure”.
Rimango di stucco a sentire quelle parole, mi sembrava d’aver udito male e non mi muovo dall’attenti.
-“Ho detto che potete ritornare alla vostra batteria. Andate, andate pure.”
Mentre scendo lo scalone d’ingresso sento posarmi una mano sulla spalla, accompagnata da una squillante risatina.
-“Sei tu, Figini?”
-“In carne e ossa, caro Joli.”
-“Che fai qui al comando?”
-“E tu che c’eri venuto a fare ora?”
-“Lo sai bene per recarmi ai posti avanzati, ma il maggiore m’ha sostituito con un altro …”
-“Che si è presentato al tuo posto.”
-“Ma sei tu … dimmelo, sei tu forse?”
L’amico mi getta le braccia al collo e mi bacia. “Si, caro Joli, ma non pensare per me. Tu hai moglie e figli, ed una grande ingiustizia sarebbe stata l’esporti così, mentre vi sono giovani volonterosi.”
– “Ma questo non lo permetto”, grido tentando di svincolarmi dalla sua stretta.
In quell’istante un’automobile si ferma davanti al portone e ne scende un ufficiale.
Figini coglie quel momento e mi sfugge d’innanzi.
Un minuto dopo l’automobile ripartiva coll’ufficiale e col maggiore Rabaglino.
Riprendo la mia strada del ritorno in batteria col cuore più in subbuglio di prima.
Ma erano altri pensieri ed altri affetti che lo agitavano.
Prima d’imboccare un lungo camminamento, flagellato dai colpi, mi volto indietro a dare un’occhiata alla palazzina del comando nell’illusione di rivedere l’amico.
A metà d’una mulattiera in salita, conducente al massiccio di S. Caterina, un soldato cammina lesto colla sua valigetta da campo a tracollo.
Mi dice il cuore che è lui. Balzo sopra un mucchio di rottami e con tutta la forza dei miei polmoni grido il suo nome.
Ha sentito egli forse il mio appello o è stata la voce del cuore?
Lo vedo volgersi e scortomi spiegare la piccola bandiera a lampo di colore e trasmettermi : “Addio, Joli, stai tranquillo, a presto rivederci in batteria”.