Sotto una pioggia dirotta ci mettiamo in marcia coi cannoni per occupare una nuova posizione.
Oslavia! Ecco un nome che mi resterà sempre scolpito nella mente come se avessi sempre innanzi agli occhi la scena macabra di quella vallata della morte
La penna è riluttante a descrivere quell’orrido scenario.
E’ uno spaventevole carnaio umano.
Ovunque teschi, tibie, cadaveri informi, quasi mummificati, conservanti il gesto tragico dello spasimo della morte.
Una vera valle di Ezzechiello!
Questi innumerevoli e sacri resti umani non ebbero la pietà d’una tomba. Il nemico accanendosi nei suoi tiri barbari contro la vallata impedì non solo il sotterramento dei morti, ma pur anche il trasporto dei feriti, che, abbandonati e dissanguati, avranno errato fra i caduti per cadere anch’essi esausti dal sangue e dalla fame.
Cose orribili! Il loro ultimo grido si ripercuoterà nei secoli a vergogna dell’umanità.
Sciami enormi di neri corvi dopo aver roteato alcun poco su quel campo della morte, vi piombano sopra voraci, dilaniando quei miseri resti putrefatti.
Sia per la condizione del terreno, ridotto un vasto pantano, sia per le esalazioni pestifere ed insopportabili non ci fu possibile trattenerci che pochi giorni e si fece ritorno alla vecchia posizione sull’Isonzo.
Mi parve di tornare a nuova vita.