E’ il giorno caro ad ogni cuore d’italiano. Per noi combattenti è una data ancor più cara e solenne : lo Statuto.
La batteria è in festa.
Io mi trovo nella cabina telefonica in sostituzione del caporale Figini, comandato a Udine per servizio; e nell’attesa trascorro il mio tempo a sfogliare un ricco volume illustrato di zoologia, rinvenuto in una via di Gorizia.
Sono precisamente le ore 16 quando un’improvvisa raffica di cannonate interrompe d’un tratto la lieta festa e fa accorrere tutti gli artiglieri ai loro pezzi.
Squilla il campanello dell’apparecchio.
Ricevo: “Nemico lancia gas asfissianti, maschere al viso, controbattere con granate N.A.”
In un attimo mi assicuro bene la maschera al volto, dopo essermelo spalmato con apposita gelatina, e do l’allarme alla batteria.
Fortunatamente i primi colpi vanno ad esplodere dall’altra riva dell’Isonzo.
Osservo la candida velenosa cortina di fumo lambire la terra e pigramente avanzarsi verso di noi.
Ma la forte corrente trascina con se la nube a causa dello spostamento dell’aria.
Il primo pericolo è passato, ma è di breve durata.
Succedono altre raffiche d’una intensità impressionante ed in breve tutta la scogliera è avvolta in un velo di fumo.
Anche la mia piccola cabina ne è invasa.
Mai lo spettro della morte m’è apparso così da vicino e ne provo una stretta al cuore.
Ad accrescere la mia pena s’aggiungono le scheggie infuocate dei proiettili che si frangono sullo scoglio di fronte e per la loro forza di propulsione vengono lanciate contro la fragile cabina, bucandola in più parti.
In un primo impulso di salvezza fò per fuggire e mettermi meglio al riparo, ma mi trattiene il dovere del mio importantissimo servizio.
Il nemico aveva in suo favore l’aria quasi immobile sì che i fumi venefici s’attardano sul luogo dell’esplosione aumentando così il pericolo.
Momenti terribili questi!
Altre chiamate al telefono.
Oh la fatica a farsi capire! La maschera attenua e confonde la voce; è un’angoscia.
Un momento sono sul punto di sollevarmi la maschera e già la mano è alla portata del mento quando il braccio mi ricade sul fianco come colpito da paralisi.
Chi mi trattene la mano se non il dito di Dio?