Ore 16
La città sta cambiando d’aspetto.
Ora che l’uragano sembra cessato, riprende la sua toilette.
Numerose squadre di territoriali s’affannano a trasportare via le macerie che ingombrano le vie, mentre i pompieri del genio annaffiano da per tutto e danno il bianco di calce alle facciate delle case.
Quantunque non sia del tutto eliminata la minaccia contro la sventurata città pure i suoi fieri abitanti hanno ripreso calmi ed indifferenti le loro normali occupazioni e s’ingegnano a riparare alla bene meglio le loro porte e le finestre malconce dalla mitraglia.
La carta sostituisce i vetri, la tela e il legno.
Ovunque è un andirivieni quasi festoso.
È’ un respiro di sollievo dopo giorni e notti trascorsi trepidando sotto le cantine, con poco cibo, con poca acqua.
Le belle ragazze, indossati i loro abiti migliori, passeggiano a gruppetti, allegre e civettuole sempre, non disdegnando il frizzo di qualche galante ufficialetto.
I negozi hanno riaperto le loro vetrine e gli acquirenti vi fanno ressa.
A Gorizia nulla manca.
I bambini, sorvegliati dalle loro mamme, ritte sul limitare della porta, se la godono un mondo a rincorrersi e a fare giuochetti infantili.
Tutti i bimbi del mondo sono uguali, come lo sono tutti i loro giuochi.
Poveri piccini!
Sembrano tanti uccelletti fuggiti di gabbia.
Chi scriverà il poema del vostro incosciente martirio?
Le lunghe notti passate stretti al seno della trepidante mammina, chi scriverà gli spaventi dei vostri cuoricini, chi cancellerà dai vostri occhioni le orride scene del fuoco?
Al bivio di via di Salcano un ufficiale degli alpini, seduto ad un piccolo tavolo, scrive ed interroga un plotone i soldati disposti su due file.
Al suo fianco è una bella bambina di circa quattro anni.
Sembra una pupattola così vestita col suo gonnellino verde, la camicetta candida ed un grazioso cappuccetto rosso in testa.
Se ne sta fiera e impettita, colle manine dietro il dorso guardando quei robusti giovanotti dalle faccie bronzate, che le sorridono e le fanno dei cenni.
E’ un’orfanella slava che gli alpini hanno salvato fra dei rottami ed adottata per figlia.
I suoi riccioli biondi, sfuggenti dal piccolo cappuccio, hanno riflessi d’oro.
Mi fermo a contemplarla.
Dio! Il ritratto della mia piccola Jole, col suo nasino appuntito e con quegli occhioni vivaci.
Il sangue mi sale al cervello e spinto da una forza irresistibile balzo da cavallo ed appressatomi alla piccina la sollevo fra le braccia baciandola con trasporto paterno.
Mi frugo nelle tasche e rinvenuta una zolletta di cioccolato glie la offro.
La piccina mi sorride e avvinghiatasi al mio collo mi dimostra la sua riconoscenza col rendermi un bel bacione.
-“Perché piangete, caporale?”
-“Signor tenente, ho anch’io un angioletto così.”