13 Maggio 1917 – L’ offensiva

Ore 14

Continua metodico, ininterrotto, il nostro furioso bombardamento sulle posizioni nemiche.

Gli austriaci rispondono coi grossi calibri e s’accaniscono maggiormente contro il Sabotino che sostiene un’epica lotta d’artiglieria contro il S. Gabriele, il Cuk e il Santo.

Il gobboso monte sembra trasformato in un vulcano in piena eruzione ed è tutt’avvolto di densi fumi e di vampate.

Parecchi colpi giungono fino a noi col loro fracasso indemoniato, ma la batteria continua imperterrita le sue micidiali salve a granata.

A quando a quando dense fumate l’avvolgono collo schianto degli scogli frantumati.

Il terzo e il quarto pezzo sono più presi di mira.

Un campanello d’allarme segna : “Le maschere al volto”.

Maledetti! Tirano coi gas asfissianti.

Ecco avanzarsi pigre e basse dal suolo le candide cortine velenose. E’ la morte che passa.

E m’affanno ad assicurarmi ben aderente alla faccia la nauseabonda maschera che toglie quasi il respiro, ma che rappresenta la mia salvezza.

Ore 15

Essendo adibito tutti i giorni al prelevamento dei viveri per la batteria, è giuocoforza partire egualmente nonostante il continuo bombardamento.

Fatti insellare i cavalli e seguito dai miei quattro uomini di corvè, si parte al trotto serrato alla volta della vicina Gorizia, attraversando lunghi tratti di terreno elevato e scoperto, battuto con tiri di sbarramento.

Non nascondo la mia apprensione pel grave pericolo, ma mi sforzo di mostrarmi tranquillo per essere di esempio ai miei uomini.

Anche questa volta il nemico s’accanisce contro la disgraziata città e gli aereoplani vi compiono la nefanda opera loro gettandovi bombe incendiarie,  ma i nostri valorosi aviatori non se ne stanno inoperosi ed affrontano i velivoli nemici con un ardimento senza pari. E’ una terribile lotta che si combatte nel cielo; lotta che per noi costituisce un pericolo maggiore delle artiglierie.

Non si sa come proteggersi e si continua la cavalcata in mezzo a quello scrosciare di mitraglia.

I civili se ne stanno prudentemente nascosti nelle loro cantine e nei rifugi contro i gas mefitici, che il comando ha da tempo fatto costruire.

Passano veloci in lunga teoria le automobili della croce rossa Brittannica.

Depongono il loro dolorante carico nei padiglioni di pronto soccorso e ripartono verso la linea del fuoco, come turbini.

Da una casa di via Morelli vedo uscire una giovane donna, lacera, coi capelli in disordine. Getta gridi gutturali, gesticola, batte le mani ad ogni esplosione di colpi. Due carabinieri, di guardia in quei pressi, corrono verso di lei spingendola gentilmente entro casa, mentre una povera bimba di circa sei anni ne esce spaventata, avvinghiandosi alle gonnelle materne .. .

Volgo il capo  proseguo la mia strada per non assistere più oltre alla pietosa scena.

Ore 22

Il bombardamento continua ed aumenta d’intensità.

La scena di battaglia è in tutto il suo orrore.

Anche il cielo pare s’unisca al furore degli uomini e tuoneggia minaccioso confondendo i suoi vividi lampi alle sanguigne fiammate delle mille bocche da fuoco.

E’ un inferno!

L’oscurità, il fumo, i rombi fan perdere il cervello.

La testa mi martella dolorosamente e scendo al fiume; e in quelle acque gelide mi rinfresco la testa.

Dalla riva opposta, entro una folta macchia, un usignuolo gorgheggia tranquillamente.

Non lo spaventa per nulla il fragore che lo circonda, egli ha lì il suo nido ed è felice.

Per la prima volta in vita mia ho invidiato un animaluccio!

Ore 24

Mi getto stanco entro il mio piccolo buco e preparata a portata di mano la mia inseparabile maschera mi sforzo di concedermi un po’ di sonno.

La minuscola baracca, costruitami fra l’incastro di due grossi scogli, è già mezzo squassata e cigola minacciando di sfasciarsi.

Sotto di lei è il vuoto spaventoso, al di sopra, sulla vetta è piazzato il terzo pezzo.

A quando a quando, causa lo spostamento d’aria, si distacca dall’alto e frana qualche sporgenza di scoglio con grave pericolo del mio rifugio primitivo, che visto in distanza sembra un nido di rondini costruito su quell’orrido dirupo.

Dalle brecce del fragile soffitto, costruito pazientemente con pezzetti di tavole, racimolate qua e là, vedo il lampeggiare dei colpi ed il fascio luminoso dei riflettori che scrutano il terreno dell’azione.

E’ vano, non posso dormire.

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