19 Marzo 1917 – (Da una lettera indirizzata ai miei figli)

Il vecchio soldato s’irrigidì sull’attenti davanti al suo Capitano.

-“Occorre subito la vostra opera, domani potrebbe essere troppo tardi. Se questa nebbia protettrice avesse a dileguarsi, i nostri pezzi verrebbero facilmente scoperti a causa delle opere di cemento. I vostri compagni han lavorato di notte, voi non potete lavorare che di giorno. Conosco il pericolo al quale vi esponete e le mie responsabilità, ma mi affido al vostro coraggio ed al vostro buon senso.    Questo non è un comando che vi do, ma è un invito che vi faccio nell’interesse della batteria; accettate?”.

Gli occhi del territoriale ebbero un lampo di virile orgoglio.

-“Ben volentieri, mio capitano, è il mio dovere” e fece l’atto di andarsene ma il comandante trattenendolo per il braccio:

-“Bravo! Io non dubitavo, ma siate prudente e se tirano ritiratevi subito nella galleria, non occorre dirvelo”.

…. E lavorava con una foga sorprendente lassù in cima alla scogliera, che dava le vertigini, attorno ai suoi pezzi. Né volle scendere al basso per consumare il suo rancio per non perdere tempo.

“Domani potrebbe essere troppo tardi “ Non rammentava altra raccomandazione.

Orgoglioso del suo mandato non avvertiva né gli stimoli della fame, né la stanchezza.

Non gli rimaneva ormai che completare il mascheramento del quarto pezzo, ossia l’ultimo, e ringraziava di cuore il Signore d’averlo protetto da qualsiasi disgrazia.

Contrariamente alle sue abitudini il nemico non s’era per nulla fatto vivo.

Quando un gniaulio, ben noto alle orecchie dell’artigliere, lacera l’aria.

Il grosso proiettile austriaco sfiora lo scoglio e per forte spostamento d’aria fa stramazzare a terra il lavoratore solitario.

Era passato a pochi metri dal suo capo andando, nella sua parabola, ad infrangersi con uno scroscio formidabile nell’opposta riva.

In preda a naturale spavento, il poveretto resta per alcuni minuti bocconi al suolo, mezzo stordito.

Sente la terra fremere sotto di se, mentre un nuvolo di detriti lanciati in aria con fantastica veemenza sibilano sinistramente attorno la sua persona.

Un secondo colpo segue il primo, ma il proietto cade nel bel mezzo del fiume sollevandovi una gigantesca e meravigliosa  colonna d’acqua.

Il nemico mira evidentemente al piccolo ponte sottostante che comunica col Penna, ma trovandosi la batteria in quella linea di tiro, veniva di conseguenza ad essere esposta al pericolo quanto il ponte stesso.

La suoneria della macchina telefonica chiama lungamente.

Il soldato, riavutosi, corre al monofono.

– “Ritiratevi, proseguirete il lavoro domani, avete inteso?”.

E’ la voce del capitano che dal suo osservatorio ha visto il bombardamento che s’iniziava.

Ma il nostro umile operaio non ubbidisce.

Comprende il pericolo della sua situazione, ma comprende che non può, non deve lasciare la sua opera incompiuta.  “Domani potrebbe essere troppo tardi”.

Rivolge mentalmente una breve prece al suo santo protettore, poi di scatto si pone davanti la nera gola del cannone colle braccia incrociate al petto fiero e minaccioso.

Che passa nel suo animo?

Poi riprende il lavoro interrotto.

Né mai si volse, né ebbe un fremito quando altri colpi, altri colpi ancora scoppiarono insistenti intorno a lui, reso invulnerabile dalla forza del suo dovere.

Ed il periglioso lavoro fu compiuto. Quei blocchi di cemento armato, che costituivano a protezione dei pezzi, s’erano trasformati come per incanto e raffiguravano, così bene imitati, le prominenze della brulla scogliera, da trarre in inganno chiunque anche a breve distanza.

Il domani i vecchi cannoni, che da due anni terrificavano il nemico, ripresero, con più sicurezza, la loro canzone di guerra.

Cantico di morte e di vittoria.

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