Da tre giorni il nemico, che ha la sua prima trincea avanzata a non meno di 300 metri in linea d’aria dai nostri pezzi, abilmente nascosti sotto le frasche, non dà segni di vita.
C’è in tutti noi l’illusione d’una tregua d’armi precorritrice di vicina pace.
E perché’ non potrebbero forse gli uomini mettersi una buona volta in accordo e far cessare questo flagello?
Ma la misteriosa calma non è completa e qualche lontano e rado colpo giunge fino a noi.
Invitato al pranzo natalizio dei miei vecchi compagni di batteria, lascio il tranquillo mio alloggio e mi reco a piedi a Gorizia.
Dopo una frettolosa visita ai centri della città che trovo ancor più straziata dai continui bombardamenti, m’incammino per l’erta e disagevole salita del colle di Castagnovizza sulla cui cima è lo storico e splendido convento dei Cappuccini.
Quivi sono alloggiati i nostri artiglieri.
Per la prima volta visitavo quella località e conservo tutt’ora la sensazione del bello e dell’orrido che si offriva, man mano che salivo, al mio sguardo come una visione cinematografica.
Alla destra giù in basso si delinea la bella martoriata città.
La distanza nasconde all’occhio nudo le sue ferite, sì che pare ancora più attraente coi suoi incantevoli giardini e le sontuose ville che le fanno degna corona.
Il brullo e pietroso Carso appare colle sue profonde doline e più giù la bella pianura di Gradisca, poi seguendo la costiera ecco la baia di Monfalcone che va sfumandosi e confondendosi in una lucente striscia: è l’Adriatico nostro.
Parmi quasi di respirare a pieni polmoni la pura aria salina e d’udire il mormorio delle onde che baciano irrequiete il lido irredento.
A sinistra l’erta cima del sabotino, col Gabriele al fianco e più in basso il S.Marco.
Quanti dolorosi ricordi mi salgono al cuore.
I miei occhi conservano le visioni del fuoco e il terrificate spettacolo delle cruente azioni che i nostri invitti fanti sostennero pel loro possesso.
Entro nella splendida chiesa quattrocentesca che racchiude le spoglie di vari regnanti di Francia e di altri uomini illustri.
I suoi affreschi e le sue sculture in legno puro stile sono veri gioielli d’arte che attiravano l’ammirazione di tutti gli artisti del mondo.
Questo convento è monumento internazionale.
Ma pur troppo i colpi nemici non hanno risparmiato questo tempio della religione e dell’arte, e tutt’ora lo percuotono con grossi calibri tentando di annientarlo.
Già grosse breccie sono sul tetto ed alle pareti esterne; né il piccolo cimitero, che la pietà dei combattenti ha abbellito per il riposo dei compagni che giornalmente cadono, viene risparmiato.
Sono buche profonde nella sacra terra che lasciano allo scoperto e alla voracità di sciami di corvi i venerati corpi.
Un orrore!
Nell’interno della Chiesa, alla devastazione s’unisce il profano disordine degli oggetti e la trasformazione dell’ambiente.
Una cappelletta della B.V., alla destra di chi entra, serve da ufficio telefonico, altre cappelle laterali da dormitorio per gli Ufficiali, la sacrestia convertita in sala da pranzo, le panche divenute i comodi letti degli attendenti e di altri addetti a speciali servizi.
I cannonieri dormono a fianco dei loro pezzi un cento metri più al basso.
Sull’altare maggiore dal lato dell’evangelio v’è il messale aperto ancora al suo posto.
Debbo confessarlo, ad onore dei nostri soldati, che pure in quel disordine forzato non v’è traccia alcuna di deturpazione o di manomissione, cui sono maestri i nostri nemici.
Chiedo come mai non vi sia rimasto alcun frate a custodia del tempio.
-“Ve n’era rimasto uno”, mi risponde un caporale dei bersaglieri (che per essere stato il primo a metter nel convento aveva ricevuto in premio dalla Duchessa d’Aosta l’alto incarico di rimanervi come sorvegliante). “Ve n’era rimasto uno” ripete quasi stentando pronunciare la parola, “ma dopo tre giorni venne … fucilato”.
-“Fucilato?”
-“ si, ma non solo, gli tenne compagnia un ufficiale pure austriaco”
-“Spiegati”
-“Ecco, dopo tre giorni dalla nostra occupazione uno dei nostri scoprì detto ufficiale che, abilmente nascosto nella guglia del campanile, faceva delle segnalazioni ..il fraticello fu naturalmente accusato di aver provveduto il cibo e gli abiti monacali che indossava l’ufficiale al momento dell’arresto.Io stento a credere alla colpevolezza del religioso. Era un giovane scarno, biondo, dagli occhi color del cielo, con un piccolo pizzo così .. .ha protestato la sua innocenza, ma quell’ anima dannata dell’ufficiale si chiuse in un mutismo assoluto e contribuì a perdere il poveretto che s’è lasciato fucilare come uno stupido. Pareva non fosse fatto suo.“Ma guardi che belle pitture “
aggiunse tosto, per interrompere quel penoso discorso
”dicono che siano d’un grande autore, ma noi ci comprendiamo ben poco.”
–“Questo affresco, che ritengo il migliore,” spiego ai compagni che mi si erano stretti attorno per salutarmi,” rappresenta il trasporto della salma di Maria; quest’altro è la circoncisione del bambino Gesù, cioè il battesimo ebraico. Quest’altro la visita di Maria e Giuseppe alla loro parente S. Elisabetta che diè poi alla luce il S. Giovanni Battista. Questo rappresenta Gesù dodicenne che, fuggito dai suoi genitori, s’è recato al tempio a discutere coi Dottori confondendoli colla divina sua sapienza; questo è l’incoronazione della Vergine, che, dopo morta, assunse in cielo trasportata sulle ali degli angeli. Questo … “
-“Ne sappiamo ormai abbastanza”, m’interrompe l’amico Figini, sopraggiunto allora. “Vieni con me” e fattomi salire il pergamo apre una minuscola porticina celata fra gli ornati della parete e m’introduce in una grande soffitta mezzo diroccata.
-“Questo è il nostro osservatorio, di qui potrai vedere cose interessanti.” E preso il binocolo da campo, che pendeva ad un chiodo vicino all’apparecchio telefonico, lo punta verso la quota 174 ove sono le nostre trincee quasi a contatto con quelle austriache.
Getta un grido di sorpresa, mi mette svelto il binocolo fra le mani, mi raccomanda di non abbandonare l’osservatorio fino al suo ritorno e fugge a precipizio.
Sento lo scricchiolio della scaletta del pergamo gemente sotto il peso dei suoi balzi, odo un vociare confuso al basso e passi frettolosi come di chi fugge … poi più nulla.
–“Ma che succede?” mi domando in preda a viva agitazione; giro la manovella dell’apparecchio e mi metto in comunicazione col centralino.
-“Pronto, pronto. Sai dirmi che succede?”
-“Ah sei tu, Joli; dì, Joli, puoi scendere?”
-“Non posso, quell’accidente di Figini se n’è scappato lasciandomi quassù solo.”
-“Ebbene guarda a quota 174; cose nuove … mi chiamano, ciao.”
Punto allora il binocolo nella direzione indicatami e che vedo?
Gli Austriaci, usciti dalla loro trincea, sono confusi coi nostri in amichevole baldoria. Avverto un gran movimento di giganteschi cartelli … . Non posso distinguere bene, c’è un po’ di nebbia. Aguzzo lo sguardo coll’animo in subbuglio. Lodato Dio! Ora vedo meglio.
Fra il breve spazio delle due trincee i nemici di mezz’ora fa s’abbracciano fraternamente levando in aria i loro elmetti.
Sui cartelli, dalle lettere cubitali, portati in giro dagli Austriaci, vi leggo: “Buon Natale Italiani!”
“E’ la pace,” grido a me stesso, “è la pace questa?”
Un nodo di pianto, ch’è pianto di gioia. Mi serra la gola … Maledizione, non distinguo più bene ..