Imboccavo frettoloso la via G. Verdi, che conduce allo splendido teatro Comunale, per alcuni acquisti, quando mi vedo comparire innanzi il mio piccolo amico tutto acceso involto ed ansante come per corsa sostenuta.
–“Sono stato a cercarla allo stallaggio, ma non c’era. Il soldato di guardia mi ha indicato le strade ove avrei potuto trovarla, sono ben contento ora.”.
poi riprendendo il respiro e con un grazioso gesto di comica serietà : “Il Signor Joli questa sera sarà ospite di casa Celeghin”.
-“Che intendi dire, monello?”
-“Intendo dire che mia zia e le mie sorelline desiderano vederla e l’attendono per le ore diciotto.Sarà per noi una serata di festa e cenerà con noi come fosse a casa sua. Ho parlato tanto di lei che tutti già le vogliono bene; … ha inteso? Non mancherà, nevvero? Eppoi verrò io a prenderla.”
Lasciai passare quella fiumana di parole e mi indugiavo a rispondergli, dolente di dover dare la triste notizia a quel caro ragazzo.
Non potrò mai ridire la stretta che provai nel cuore e lo sforzo che feci per rispondere.
-“Grazie, mio piccolo amico, ringrazia per me la tua buona zia, ma proprio … non posso accettare… .”
-“Non può ?e perché?!”
-“Perché fra un’oretta debbo partire a Gorizia e mi restano tante cose a fare ancora …”.
Il povero ragazzo rimane a fissarmi colla bocca aperta, come inebetito.
-“Si, mio caro, debbo partire; è pur doloroso per me lasciarti mentre progettavo di restare tanto ancora al tuo fianco ed insegnarti tante cose, e tante desideravo apprendere da te. Debbo partire, è un ordine ricevuto un’ora fa.”
Parlavo, camminavo lesto, per non perdere un minuto di tempo. Invitato più volte il ragazzo a lasciarmi e più volte salutatolo, questi fu irremovibile e non volle dipartirsi dal mio fianco.
Ultimate le mie commissioni e visto che mi restava un ritaglio di tempo libero entro in un caffè.
L’intelligente ragazzo è spinto quasi a forza e balbetta confuso :”Se pensavo questo, non l’avrei accompagnato.”
-“Non dir questo, io voglio che ci separiamo con animo tranquillo, ora bevi un bicchierino con me; questi biscotti li porterai alle tue sorelline.”
E il poverino sorseggiava il liquore colla gola serrata dal singhiozzo; nei suoi occhioni tremolavano due goccioloni.
Ritornati al mio locale abbraccio di nuovo il ragazzo e lo saluto.
– “Parte subito? Proprio ora?”
-“ Come vedi il carro è quasi pronto, ora stanno guarnendo i cavalli, sarà affare ancora di una mezz’oretta.”.
-“Mi basta,” grida il ragazzo, con un salto di contentezza.. “Scappo e torno subito.”
E mi sparisce innanzi come un folletto.
Tutto è già pronto, la mezz’ora è trascorsa e non si vede tornare. I conducenti, già inforcati i cavalli, attendono un mio cenno per partire e brontolano fra i denti guardando il cielo che d’un tratto s’era coperto di densi nuvoloni.
Da lontano s’udiva un tuonare spesso e man mano farsi più vicino e più fragoroso.
-“Perché indugiamo a partire?” mi interroga un po’ rude il conducente di timone. “Se tarderemo ancora un poco ci bloccheranno, al ponte di Grafembergh, le colonne di rifornimento e saranno pasticci.”
-“Hai ragione, amico mio, altri due minuti, abbi pazienza.”
Passano i due, i cinque, i dieci minuti ma il ragazzo non compare. Mi decido allora a dar l’ordine di partenza.
Cadono i primi goccioloni della pioggia imminente, siamo già allo svolto della via quando rigirandomi indietro scorgo il mio piccolo amico inseguirci a gambe levate e far cenno di fermarci.
Salto a terra e gli vò incontro.
–“Credevo non rivederti più, caro ragazzo, e questo mi faceva un gran dispiacere.”
Impossibilitato a rispondermi per l’affanno della veloce corsa, mi getta le braccia al collo e mi bacia con vero trasporto filiale. Poi dominando la sua emozione :”Abbia sempre fortuna lei e non mi dimentichi; le volevo tanto bene … questo è per il suo Tonino, non ho altro da offrirgli come ricordo, prenda … .”
Mi svincolo dalla sua stretta, e salto sul carro che riprende la sua corsa. – – “Addio, caro ragazzo, addio!”
Poi do un’occhiata al libretto che mi aveva posto fra le mani e leggo sul frontespizio: “Pinocchietto contro l’Austria”.
Il temporale ci ha raggiunti appena oltrepassato il ponte di Grafembergh. L’acqua ci si rovescia addosso come un diluvio, col suo seguito di lampi e di tuoni. Decidiamo ricoverarci temporaneamente sotto una grande tettoia di materiali da costruzione in attesa che quel diluvio cessi o almeno diminuisca un poco.
Vane speranze!
Io non ricordo in vita mia d’aver visto un temporale così intenso durare tanto tempo. Una vera pioggia equatoriale.
Trascorrono quasi due ore senza dar segno di rallentare. Con nostro rincrescimento si riprende il viaggio con sinistri presentimenti nell’animo.
Si procede così nell’oscurità, rotta soltanto dai lampi abbaglianti, che ci offendono la vista e fanno impennare i poveri cavalli.
Viene ad aggiungersi al temporale una scarica di cannonate proprio sulla strada che noi si percorre.
– “Coraggio, compagni,” grido, ”che Dio ce la mandi buona; anche questo non ci voleva.”
Il conducente di timone, che mi è più vicino, tenta far dello spirito: “Ma niente, caro Joli, questo è un diversivo … che ci voleva ..”.
Uno scoppio formidabile gli tronca la frase.
I cavalli s’arrestano mandando lunghi nitriti, il conducente di volata grida una turpe bestemmia.
Un colpo di grosso calibro ha esploso a non meno di trenta metri davanti a noi, proprio nel bel mezzo della strada.
Si scende a terra e si riesce a fatica ad evitare la vasta e profonda buca causata dallo scoppio.
Ma non appena usciti dal buio tunnel della ferrovia Gorizia-Cormons, ecco altra salva di colpi sbarrarci il passo. Che fare? Si lanciano i cavalli al galoppo, raccomandandoci alla buona fortuna.
Sono questi momenti della vita che non si dimenticheranno mai; un minuto è un secolo e la nostra esistenza attaccata ad un fragile filo.
Son momenti in cui l’anima è invasa da una ridda di visioni care, in cui il cuore cessa quasi il suo battito. Si vive un minuto e s’invecchia di dieci anni. S’implora Dio e s’invocano i figli, si benedice e si bestemmia, si tenta d’esser forti e si trema. Son momenti in cui ‘anima sembra esuli dal corpo greve e fiaccato. Suoni strani ci ronzano nelle orecchie, l’occhio sbarrato nel vuoto vede un velame rossigno, le membra come atrofizzate rimangono inerti.
Queste le umane manifestazioni dello spavento, lo spavento della morte fatta di tuono e di fuoco.
Un animo forte potrà conservare relativamente la sua calma dopo che si è familiarizzati col pericolo, dopo aver più volte da vicino salutato la morte rimandandone l’appuntamento.
Debbo pur confessarlo che, per ora, non mi vedo ancora nel novero di questi fortunati; eppure dovrò affiatarmi anch’io alle delizie della guerra.
Ci riuscirò?
Si passa veloci il lungo tratto di strada battuto dal fuoco senza il minimo inconveniente. Si respira, si rinasce.
-“Hai avuto fifa, gradasso?”
-“L’hai con me? Ti sbagli; ho visto d’altro io.
-“E tu, Joli?”
-“Io? Io la fifa? Manco per sogno.
Fortunatamente il buio della notte non lasciò scorgere il mio volto grondante d’acqua e di … sudor freddo.
La pioggia intanto continua a riversarsi con furia sempre crescente e il rombo delle cannonate si confonde con lo scroscio prolungato dei tuoni.
Triste notte!
Molle d’acqua sino alle ossa tremo dal freddo, né ho di che ripararmi. I cavalli procedono con trotto affaticato, quasi insensibili alle sferzate dei conducenti e l’accampamento da raggiungere è distante ancora una diecina di km.
Spossati e intirizziti siamo per arrivare al sospirato accampamento, dopo sei ore di tormento, quando a circa un km da questo ci sopraggiunge un altro guaio.
E’ l’innondazione.
Il vicino torrente ha straripato allagando per un buon tratto le strade e i campi.
I cavalli s’arrestano nella quasi impossibilità di muoversi.
La fiumana impetuosa cresce, cresce ed ha già raggiunto l’altezza di quasi un metro.
Le povere bestie nitriscono penosamente e non ubbidiscono più agli inviti della voce né alle percosse.
Ci vediamo perduti in mezzo a quel lago d’acqua non sapendo come disbrigarci da quella critica posizione .
-“E’ inutile, compagni miei, incrudelire ancora contro questi poveri animali. Lasciamoli riposare un poco, forse l’acqua potrà diminuire. Speriamo bene.”
Trascorre così una mezz’ora, noi accoccolati sul carro, tremando dal freddo, i cavalli mangiando avidamente, entro le loro musette di tela appese al collo, la biada ristoratrice.
L’acqua non accennando abbassarsi, si decide riprendere il breve cammino che ci rimane.
I generosi cavalli con uno sforzo magnifico riescono a svincolare il carro dalla melma che teneva imprigionate le ruote; noi coll’acqua alla cintola si spingeva su queste dando un efficace aiuto ai nostri cavalli.
Finalmente si giunge.
I conducenti riconoscono la località, ma sono perplessi non scorgendo né le tende dell’accampamento, né i cavalli legati a circolo in mezzo al campo.
Il buio della notte non permetteva di vedere altro se non un’immensa distesa d’acqua.
Si chiamò, si gridò, nessuna risposta.
La misera stamberga colonica che ricoverava il sig. tenente Marzioli s’era abbattuta e si scorgevano un ammasso di travi e materiali.
I conducenti distaccano i cavalli e si allontanano raccomandandomi di non muovermi dal carro, perché, non pratico della località, avrei potuto arrischiare qualche pericolo.
Io obbedisco pensando che un d’essi sarebbe poi tornato a prendermi.
Passa una buona mezz’ora, poi un’ora, nessuno compare e la pioggia, quantunque meno furiosa, continuava a cadere insistentemente.
Mi sento la febbre addosso. Come resistere ancora?
A pochi passi dal carro vedo un piccolo padiglione ed ai suoi piedi un largo buco.
Comprendo essere quello un canile e mi rallegro tutto. Ecco un ottimo rifugio, e salto giù dal carro. Trovandosi il pagliaio su un piccolo rialzo del terreno e non invaso dall’acqua, questo canile mi rappresentava una piccola fortuna.
Ma come vado per ficcarvi dentro il capo mi ritraggo spaventato.
Due occhi fosforescenti, come di fuoco, mi fissavano ed un ringhio poco rassicurante mi fece comprendere che il legittimo domiciliato non tollerava intrusi. Tento con le buone di rassicurare l’iroso cane e di farlo uscire. Inutile.
Debbo tornarmene mogio mogio sul mio carro e rassegnarmi a passare il resto della maledetta notte sotto quella pioggia.
-“ Peggio d’un cane!” brontolo fra me, stringendomi convulso la testa fra le palme, “peggio d’un cane!”
Poi, calmatomi, mi rassegno e ingoiando un’imprecazione che stava per salirmi sul labbro mormoro, battendo i denti . “Siamo in guerra, pazienza!”
Ecco un viaggetto poco gradito.