29 Agosto 1916 – Ore 23 – Umili Eroi

Triste notte!

Ora il silenzio è perfetto e l’oscurità accresce in noi tutti il dolore e il terrore.

Ad uno ad uno, distanziati fra noi da una decina di metri, strisciamo guardinghi di pianta in pianta, di scoglio in scoglio, evitando di produrre il benché minimo rumore. Siamo diretti al luogo ove fra poco avranno sepoltura i nostri poveri compagni.

Un riflettore nemico, manco lo sapesse, ci perseguita col suo fascio luminoso e ci costringe ad attendere, immobili nella posizione in cui ci ha colti, fino a che il suo occhio scrutatore non giri in altra parte.

Se fossimo scoperti sarebbe come aspettarci una pioggia di srapnel su di noi.

Le vetuste e straziate piante, inondate da quell’improvvisa e mobile luce, proiettano ombre strane e paurose, mentre gli animali notturni che popolano il bosco, cessano d’un tratto il loro concerto per  riprenderlo poi al ritorno della tenebra.

Attorno a una grande fossa si affannano varie ombre.

L’oscurità è perfetta, né si può accendere alcun lume ché il nemico, a noi di fronte, potrebbe aver buon giuoco.

Da un lato della fossa otto barelle allineate e lorde di sangue portano i miserandi resti di otto poveri martiri.

Sono ammucchi sanguinolenti di carne e d’indumenti. Una cosa orribile!

Riconosco fra gli altri il povero Bonerba.

Il Colonnello, con tutti i suoi ufficiali, presenziava la mesta cerimonia.

La sua alta figura marziale curvavasi ora sotto un dolore che non ha l’eguale.

Terminate le preci di rito del nostro Cappellano militare, prende la parola il capitano, con voce interrotta dai singhiozzi “  .. e la morte li ha colti non al loro posto di combattimento, ché bello sarebbe stato il morire, ma mentre si concedevano un meritato riposo. Ho raccolto l’ultima parola dell’ultima vittima, del bravo Martini, che lascia una vedova e tre figli. Egli ha avuto la sublime forza d’animo di lanciare un eroico grido fra gli spasimi di straziante agonia. 

Il suo ultimo grido è stato – Viva l’Italia! – ed ai compagni che aveva d’intorno – Vendicateci! – e l’invocazione gli morì sulle labbra, socchiuse ad un sorriso. La sua bella anima eletta pregustava già la gioia eterna che Dio serba a chi cade da eroe per la sua Patria.  Ebbene, miei artiglieri, la vendetta è affidata ai vostri pezzi.  Non vi turbi il pericolo che vi minaccia. Polso fermo ai volantini, occhio vigile alle bolle, calmi sempre nel puntatore.  Chi trema, malamente offende.  Siate sempre fieri della divisa che indossate, l’immagine dei vostri cari caduti vi sorregga nella difficile opra. Vi sia sempre all’orecchio quell’invocazione – Vendicateci – e fate che … “.

E non finì, ché un singhiozzo gli troncò la parola, e spossato dallo sforzo imposto al suo cuore, s’abbandonò sulla spalla del suo tenente Marchini.

Il pianto d’un fanciullo commuove, il pianto d’una donna impietosisce, ma quello d’un valoroso strazia.

Ritornato al mio posto non fui capace di concedermi un minuto di riposo. La scena di poc’anzi mi rimaneva infissa agli occhi. Provavo pietà e ribrezzo.

Mi tolgo finalmente da quell’incubo ed esco all’aperto. Quella solitudine, quella tenebra, accrescono nel mio animo agitato i fantasmi di  quelle orribili morti.

Ritorno al mio telefono, ed  al fioco lume della lampadina traccio su di un foglietto questi miseri versi dettatimi dal cuore.

Umili eroi

Mentre breve riposo a lor fatiche

era concesso a lor, umili eroi,

la parca li mietè siccome spiche.

Bravi, sereni, ed ai perigli avvezzi,

guidati dall’esempio del lor duce

cento volte sfidar la morte ai pezzi.

No, non così desiavan di lor vite

fare olocausto all’alma e santa patria

tanto in lor forti eran virtuti avite.

“Vendicateci!” implorar prima che il velo

tetro di morte ai corpi lor straziati

sciogliesse l’alme invitte verso il cielo.

E il prode capitan, col volto oscuro

cui le paterne lacrime fan velo,

su lor fossa depone il sacro giuro.

– Ai pezzi, o artiglieri, ai pezzi ognora

la vendetta si compia; e del nemico

affrettiam della sconfitta l’ultim’ora.

Si che l’annuncio di vittoria poi

aleggi su lor tombe e quieti i Spirti

di questi umili e benedetti Eroi -.

 

Il giorno dopo, all’imbrunire, mi reco nascostamente sul campicello dove riposano i poveri miei compagni; e su quelle zolle depongo un bel mazzo di fiori campestri.

Ma altri, prima di me, aveva avuto questo pietoso pensiero, sì che il terreno tutt’intorno era cosparso di tanti fiori e di frasche odorose.

A pochi metri più innanzi scorgo una piccola croce di legno. Al centro di questa in un  rettangolo di lamiera inverniciata, vi leggo stentatamente queste parole:

“Qui giace il caporal maggiore  B … R… del 2° Genio Telegrafisti – della classe 1895.”

E più sotto : “Mamma non piangere, sono morto per la patria”

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