25 Agosto 1916 – La morte di un’amica

Sul nostro fronte v’è ora un po’ di calma, ma è una calma satura di nervosismo, di apprensione.

E’ una calma relativa; il terribile uragano di ferro e i fuoco, che ci valse la conquista di ricchi territori, ridonati alla madre Patria, non è del tutto spento., come dopo un violento temporale continua da lontano il brontolio del tuono in contrasto colla gloria del sole riapparso più sfolgorante sui campi devastati.

A 200 metri sottostante la nostra quota, hanno, in questi giorni, preso posizione quattro splendidi pezzi da 149 prolungati, usciti or ora dalle officine Ansaldo. Misurano 6 metri e 40 di lunghezza e colpiscono efficacemente ad una distanza di 20 km.

I nostri leggeri Dupont, vicino ad essi, sembrano giocattoli.

I bravi artiglieri, oramai dimentichi delle recenti fatiche sostenute con vero spirito di abnegazione, dimentichi dei pericoli scampati, anelano ora di riprendere il fuoco per spingere ancora più lontano il nemico, e coronare di nuovi allori la vittoria delle armi nostre.

Ma, pur troppo, non è possibile prolungare ancora l’offensiva per quelle ragioni d’indole logistica che s’impongono in tutte le azioni.

E’ questo quindi, per spiegarmi, un periodo di assestamento e di preparazione per una prossima azione.

Ho ancora innanzi agli occhi la visione dei passati giorni di combattimento, e invano cerco di distrarmi.

Solo ora penso ai pericoli ai quali volontariamente mi esposi ed un brivido mi serpeggia nelle vene.  E’ l’effetto della reazione. E’ la tensione dei nervi che riprende la sua normale elasticità, è lo sfogo dell’animo, straziato dalle visioni cruente, che ricerca la sua tranquillità, come il pianto che irrompe da un cuore dolorante e gli ridona la calma. Il pianto è per quel cuore, come la leggera pioggia pel fiorellino sitibondo e reclinante sullo stelo.

Ed io sento in me, ora,  una calma nuova, un benessere insolito. Sento in me, rinata più che mai, la fiducia nell’aiuto di Dio. Lo spauracchio della paura si dilegua dal mio animo, mi sento ringiovanito, più forte, più ardito nel compimento di quei doveri cui sarò presto chiamato a disimpegnare.

L’uomo è figlio dell’abitudine. Sa adattarsi alla triste come alla buona fortuna, all’ozio come al lavoro, al bene come al male.

Per noi, combattenti, il pericolo perde ai nostri occhi la sua importanza, direi quasi che si finisce col familiarizzarsi con esso. Un colpo che esplode a pochi metri da noi, fracassando, gettando all’aria come un vulcano e terra e piante, ci eccita il riso. “Un proiettile intelligente” dice uno, “un proiettile stupido”, sentenzia un altro, e pacatamente riaccende la sua sigaretta.

Questa indifferenza ironica di fronte a un pericolo che ci ha toccato sì da vicino, questa trasformazione della propria natura, non è che il prodotto dell’abitudine, in un animo forte e temprato alle dure leggi del dovere.

Me ne stavo, coi miei compagni del 1° pezzo, tranquillamente sdraiato all’ombra d’una vecchia pianta, quando un colpo, seguito subito da un secondo, ci fa balzare tutti in piedi.

Non è nulla,” avverte il telefonista, corso subito al suo apparecchio, “sono tiri d’interdizione che ci regalano i nostri cari Austriaci.

Tutti ci rimettiamo ai nostri posti, per riprendere la conversazione interrotta; soltanto l’artigliere Bonerba, uno splendidi tipo di napoletano, rimane in piedi, osservando la direzione di quei tiri che si succedevano a intervalli, battendo or un punto or l’altro della nostra zona.

Una scarica più vicina, una gran fumata, un grido d’imprecazione, e il Bonerba fugge verso il luogo dell’esplosione.

Gridiamo di tornarsene indietro; egli è già scomparso alla nostra vista, dietro la cortina del fumo; egli corre incontro alla mitraglia.

“Me l’hanno ammazzata, quei cani”, singhiozza.” Ma ci ho colpa io, dovevo muovermi prima e toglierla di là. Povera mia gazza, ma ti vendicherò io! .. Mia povera amica, eri il mio trastullo!”

Lo rividi il giorno dopo, al suo pezzo, far prodigi di sveltezza e di forza, con un coraggio ammirevole.

Una gioia feroce vi si leggeva negli occhi.

Ad ogni colpo gridava “Questo è per voi; prendetevi anche quest’altro, cani, cani!”

Né volle togliersi dal pezzo per concedersi un po’ di riposo, se non quando venne obbligato al suo superiore.

Voleva vendicare la sua povera gazza.

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *