Il tenente sig. Marchini si avanza salutando militarmente:
-“ Tutti sono pronti al loro posto di combattimento. Ho sostituito il telefonista del 3° pezzo, perché tuttora ammalato, col soldato Pastorelli, pure un bravo ragazzo. I guardiafili sono già sulle loro linee. I pezzi sono puntati e le munizioni abbondano nelle riservette.”.
“Va bene, lei vada all’osservatorio avanzato; tu Fiammetta resta ai suoi ordini. Non dimenticate le maschere e buona fortuna.”.
Poi voltosi a me che attendevo impaziente i suoi comandi
“Lei, caro Joli, venga con me all’osservatorio della 1° sezione. Prenda il gognometro e il cannocchiale da campo.”
Ci incamminiamo entro un fitto boschetto dalle alte erbe selvagge, poi, man mano che si procede, le piante, straziate dai colpi, si fanno più rade, non restando che la brulla scogliera strapiombante sull’Isonzo.
Sotto di noi, alle falde verdeggianti del Cuk, è il grazioso paesetto di Plava e un po’ più a destra Zagora.
Sono gli obbiettivi prescelti dal nostro Comando per l’azione incombente alla nostra batteria.
Invece di subire noi la strombazzata offensiva austriaca, siamo invece noi che, come sempre, iniziamo l’azione; azione che liberò la sospirata Gorizia.
E’ la prerogativa del nostro esercito valoroso, sempre fidente della sua forza bellica e nella sua forza morale. E i fatti lo dimostrarono.
Il soldato italiano non si batte pel solo spirito del dovere, né per la minaccia della rivoltella del superiore, né perché ubriacato da alcool somministratogli, né tampoco perché spinto da selvaggio odio verso il nemico.
No, il soldato d’Italia si batte da prode, unicamente perché è conscio dell’alta sua missione che la Patria gli ha affidato.
Liberare dal tallone dell’usurpatore la terra che la natura e Iddio hanno segnato a confine con le immacolate e superbe cime dell’Alpe. Unire alla madre Patria i fratelli, oppressi da una vituperata casa di tiranni dei popoli.
Non ha nel sangue l’odio selvaggio verso il nemico che affronta. Non usa armi sleali, non incrudelisce contro il ferito con la mazza ferrata o col pugnale, non insulta il prigioniero, non lo percuote col calcio del fucile.
Il soldato italiano è forte, è generoso. Nel suo sangue conserva i germi dell’antica civiltà latina, ch’è la sintesi d’ogni virtù.
Eccoci arrivati al piccolo osservatorio. Altro non è che una piccola tana di circa tre metri di larghezza e due di profondità. Due travicelli sostengono dei sacchetti di terra che formano il tetto e servono da protezione all’osservatore. Nell’interno del piccolo rifugio è un apparecchio telefonico, un minuscolo tavolino e due sgabelli.
Il capitano si ferma sul primo gradino della scaletta e, volgendosi a me, mi fissa negli occhi.
-“Senta, Joli, io ho scrupolo di coscienza ad esporlo così al pericolo. Questo osservatorio salterebbe all’aria con un solo colpo da 77. Non è qui il suo posto. Se ha delle preoccupazioni, se non si sente in animo di affrontare il fuoco, non abbia nessuna vergogna e si ritiri pure al basso nella sua cabina telefonica che è un po’ più al sicuro.”
-“Mio capitano,” rispondo commosso,” non ho altro desiderio che seguirla ovunque; non mi neghi questo onore. Stia tranquillo, non mi accadrà nulla di male; veda, io sono calmissimo.”
Io mentivo, per togliere ogni apprensione dall’animo buono del capitano. Mentivo con una franchezza della quale non mi credevo capace.
Il mio cuore invece pulsava ben forte e un turbine di pensieri mi si affollava per la testa.
Fra poco sarò spettatore del terribile dramma e di scene orribili d’incendi e di sangue. Mi troverò in mezzo a quel cataclisma di fuoco.
Sceso il capitano, scendo io pure collocandomi davanti la piccola macchina telefonica.
-“Tenga il monofono all’orecchio e attenti a ricevere la parola d’ordine. E’ il segnale d’aprire il fuoco.”
Quanto più cerco di distrarre il mio pensiero dalla mia famiglia e tanto più insistenti si parano ai miei occhi le visioni di mia moglie e dei miei bambini, in atto di disperazione e di preghiera.
La vista del primo cannone m’aveva sorpreso, i primi spari dei nostri pezzi, spaventato, la prima esplosione della granata nemica, terrorizzato addirittura. Come potrò ora resistere?
Dio mio, datemi forza, non abbandonatemi!
-“Che cosa pensa, Joli?”
-“Io? .. Nulla, signor capitano, proprio nulla .. .”
Per la seconda volta ebbi il solo coraggio della … menzogna.
.. e la parola d’ordine passò simultanea nelle innumerevoli linee telefoniche irradiantesi a tutte le batterie dal Sabotino al mare.
Quelle centinaia di bocche da fuoco, dai leggeri e mobili Dupont ai tozzi e pesanti obici, dagli eleganti pezzi di marina da 149 prolungati ai mastodontici mostri da 203 sui loro giganteschi affusti, ebbero un unico fremito, un’unica immensa vampata, un rimbombo assordante come eruzioni di cento vulcani.
Trema la terra come scossa da terremoto e l’aria, in breve, fu pregna di acri fumi elevantisi al cielo. L’offensiva italiana prese proporzioni gigantesche.
Ecco distinguere incendi nelle foreste nemiche e depositi di munizioni saltare in aria avvolti in dense nubi di fumo nerastro.
Squadriglie numerose di nostri velivoli roteano pel cielo sulle posizioni avversarie, segnalando alle nostre batterie gli effetti dei tiri e i movimenti delle truppe.
Già questa raffica poderosa imperversa da più di un’ora, poi s’arresta.
E’ la volta delle terrificanti bombarde, celate a breve distanza dalle linee nemiche.
Il loro spaventevole fuoco distrugge i reticolati, sconvolge come un cataclisma le trincee, apre la strada ai reparti d’assalto e facilita loro la vittoria.
Il nemico, coll’abituale sua tattica, attende l’urto, e mentre i nostri valorosi fanti balzano fuori dalle trincee con un solo grido “Savoia” e si lanciano all’attacco, ecco l’austriaco aprire a sua volta il fuoco.
Il momento è solenne; l’uragano dei colpi riprende il suo lavoro di distruzione, di morte.
E’ l’immane duello dei mostri d’acciaio, che tendono ad annientarsi l’un l’altro.
Arrivano ora un po’ corti, or lunghi i colpi attorno al nostro piccolo osservatorio. Qualche scheggia giunge sin nell’interno col suo sibilo acuto. Il tetto di protezione comincia a sfasciarsi.
–“Coraggio”, Joli, m’incuora il capitano che non abbandona un minuto il cannocchiale
-“Allungare il tiro di due ettometri”.
Io ripeto sull’apparecchio il comando.
-“Ma bene”, esclama con un riso convulso, ”bene bene, bravi ragazzi, avanzano! Avanzano!”
-“Allungare ancora d’un ettometro”.
-“Capitano,” grido, “non mi si risponde”.-
-“Ripeta più chiaro il comando”.-
-“Pronto, pronto, primo pezzo, pronto … “
-“Capitano,”, grido con l’angoscia nel cuore, “non mi si risponde, certo c’è un guasto sulla linea.”
Gli oleografi delle nostre fanterie segnalano disperatamente “Allungate il tiro”.
-“Maledizione!” rugge il capitano, “ammazziamo i nostri. Non si perda un minuto di tempo, corra, voli .. arrivi in batteria a comunicare l’ordine a voce. Due ettometri ancora”.
-Mi lancio fuori dall’osservatorio e giù a precipizio balzando di scoglio in scoglio . Casco, mi rialzo, casco ancora; ho le mani insanguinate. Non ho tempo guardare e corro, corro con quanta forza ho in me.
E sentivo gli spari dei nostri pezzi che tiravano coi dati iniziali.
Ogni colpo mi si ripercuote al cuore come una pugnalata … pensavo alla strage fratricida che disgraziatamente si commetteva.. .
Avverto il sibilo acuto di due colpi in arrivo.
Ho appena il tempo di gettarmi bocconi a terra proteggendomi la testa colle braccia incrociate. Sento le pallette infuocate degli srapnel picchiettare violentemente attorno la mia persona.
Sono illeso; mi rialzo e riprendo la mia corsa, quando precipito entro un’enorme buca ancora fumante, prodottasi dall’esplosione di una granata di grosso calibro.
Un acuto dolore mi toglie quasi il respiro. Dio mio aiutatemi!
Con quella forza che solo può dare la disperazione mi arrampico sulla parete della buca traditrice e riesco ad afferrare un mozzicone di radice sporgentesi dall’orificio.
Ma la debole radice si distacca dalla terra e io sdrucciolo nuovamente in fondo.
Sono pazzo dall’angoscia e raddoppio gli sforzi finchè riesco a trarmi fuori.
Sto per giungere finalmente al primo pezzo, non mi rimane che una ventina di metri da superare e faccio per gridare l’ordine, quando un colpo esplode sulla cannoniera.
E’ un attimo, un attimo d’inferno.
Mi sento investito in pieno da un sacchetto di terra che mi scaraventa a gambe all’aria a due metri di distanza.
Rinvenuto, ben presto, mi rizzo in piedi, ma altro non vedo che un ammasso di travicelli e di sacchetti squarciati, lanciati tutti all’ingiro. Odo grida di dolore. Corro sul posto. Il sergente Zamasioni si trascina a stento fra quei rottami aiutando i superstiti nella difficile opera di salvataggio. Gli gronda sangue dalla testa ed ha un ginocchio pure malconcio. Ma non vuole abbandonare il suo posto e s’affanna all’opera pietosa, incitando gli artiglieri.
Due disgraziati serventi si trovano sepolti fra quei sacchetti di terra che costituivano il tetto e la protezione della blinda. I minuti pesano sulle loro vite.
Il capitano, che dall’osservatorio s’era accorto della disgrazia, giunge a noi tutto affannato.
Con una rapida occhiata passa in rivista i suoi uomini, ed accortosi dello stato pietoso del sergente gli ordina di ritirarsi al posto di medicazione.
Questi a malincuore ubbidisce e s’allontana zoppicando. Mirabile esempio di doveroso sacrificio!
Giungono intanto altri uomini del secondo pezzo e con una lena ammirevole in pochi minuti riescono ad estrarre i poveri compagni mezzo asfissiati.
Non è nulla, sono tutti incolumi.
Il capitano offre loro del cognac che serbava nella sua fiaschetta a tracollo e li rianima.
In brevissimo tempo la cannoniera è sgombra di tutto quel materiale ingombrante.
Il pezzo viene nuovamente messo in posizione mediante la sostituzione della ruota destra gravemente danneggiata. Sullo scudo centrale è un largo foro. Qui è esploso il proiettile.
– “Ecco un proiettile intelligente”, esclama il capitano col suo solito sorriso,” poteva arrecare danni molto maggiori. Sia ringraziato Iddio che vi ha protetti. Orsù coraggio, miei figliuoli, in alto i cuori. Si riprenda il fuoco al canto del nostro inno. Sarà questa la migliore risposta che san dare i bravi artiglieri della 2° batteria.”
Egli stesso vuole regolare il puntamento del pezzo, poi si colloca al suo fianco e ordina il fuoco.
Il glorioso cannone, ancor più sacro per la sua ferita, riprende a tuonare, mentre alto e solenne elevasi, da quei forti petti, il fatidico coro.
E’ un’onda sublime di eroica gioventù che sale al cielo mentre ha schivato la morte.
E’ il loro inno di sereno olocausto alla Patria; è la cavalleresca ed ironica sfida che si lancia al nemico, che cede terreno.
Tale è il cuore del soldato d’Italia!