14 Luglio 1916 – Il Caporale telefonista Figini

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“Non posso, per ora , accondiscendere al suo desiderio di servire al pezzo. Occorre, prima, un calmo periodo d’istruzione, nè questo è il momento indicato.  Tutto fa credere che si avvicini l’ora … avremo caldo … “
  aggiunge col suo abituale sorriso

“Io la consiglierei ritornare al distaccamento di Dolegna e rimanervi fino al termine dell’azione. Ho d’altronde le mie responsabilità e non vorrei .. .”

“La ringrazio di cuore, mio ottimo capitino, della benevola attenzione al mio riguardo, ma la prego di trattenermi qui in batteria, fra questi cari giovani. Non voglio passare ai loro occhi per un pusillanime che fugge il pericolo.

“Ebbene, caro Joli, resti pure, io l’ammiro. Ecco un’ottima idea, “ aggiunge dopo un minuto di silenzio,” lei potrà rendersi egualmente utile alla sua batteria, nei momenti dell’azione, facendo il telefonista. Lei è calmo e saprà egregiamente disimpegnarsi.  Dì. Fiammetta, ascoltami bene. spiegherai al nostro pittore il funzionamento degli apparecchi e del commutatore. Gli farai anche vedere tutte le varie linee di comunicazione coi Comandi e cogli osservatori. Insomma voglio che in brevissimo tempo sia ben istruito in tutto; lo affido a te, siamo intesi.

Rimasti soli, domando al mio nuovo amico: “Dimmi un po’, perché il capitano t’ha chiamato Fiammetta?”

Il giovane smilzo ed elegante abbassa gli occhi ed arrossisce, poi con graziose mosse da femminuccia:

“E’ perché ”, risponde con un sorrisetto sulle piccole labbra,  “è perché io amo i profumi e .. forse un po’ troppo le comodità. Mi si fa anche la critica che mi piacciono un po’ troppo i dolci e che vesto con ricercatezza. Lo riconosco da me, forse eccedo, “  aggiunge con un’altra smorfietta, ” ma non è colpa mia se la vita del campo non ha potuto ancora togliere in me queste mie vecchie abitudini.

Mi chiama Fiammetta il capitano, ormai molti mi chiamano così  .. per dileggio. Ma non m’indispettiscono affatto .. anzi mi piace, si mi piace davvero. Fiammetta non è un grazioso nome? ..”.

E ride, ride di cuore, dondolandosi; ride d’un riso squillante, argentino.

Cominciavo a provar disgusto di queste sue leggerezze.

“Ora ti faccio vedere il mio piccolo appartamento.” E solleva un telo da tenda, assicurato in alto ad un travicello.

Vedo una piccola branda in ferro, pieghevole e ricoperta non dalla rozza coperta da campo ma da un ricco drappo rosa. Né manca il copripiedi di piuma ed il candido guancialetto ricamato, con un largo pizzo di Venezia all’ingiro.

A fianco della branda una larga mensola sorregge un piccolo bazar di oggettini da toilette. Vi sono allineate una mezza dozzina di boccette di diversi profumi, dall’acqua di Colonia alla violetta di Parma, eleganti scatolette di dentifricio e tutti quei minuscoli ferretti per manicure.     Insomma è un arsenale di cosette da fare invidia alla più raffinata mondana.

Attorno allo specchio, sovrastante la toilette, un’infinità di cartoline artistiche d’ultima creazione.

Persino il voluminoso baule dalle lucenti borchie d’ottone faceva bella mostra di se col suo cuscino di velluto cremisi.

Io osservavo con un senso di compatimento tutte quelle cose, mentre Figini disponeva sopra un angolo della mensola due minuscoli bicchieri di cristallo.

“Gradisci un bicchierino di strega; non dispongo altro di meglio in questo momento. I biscotti li attendo da due giorni, ma quel Caccavalle ancora non arriva da Udine. Pazienza!”

Che concetto della guerra può avere nel suo leggero cervello questo ragazzo, pensavo fra me, se non ha altra cura che i suoi dolci e la sua toilette?

Povera Italia! Se tutti i tuoi combattenti fossero dello stampo di questo figurino …. .

Drin .. drin .. drin .. .

D’un salto è davanti al suo apparecchio. “Pronto .. . pronto .. ah sei tu Giannetto ?! ..  bene … davvero? .. allora si ballerà in piena orchestra, cominciavo ad annoiarmi .. ciao e auguri … grazie Giannetto” E rimette il monofono al gancio dell’apparecchio.

“C’è qualche novità?”, domando.

“E bella! E’ l’amico telefonista del Comando del gruppo che mi avverte, così di contrabbando, che un sergente austriaco, un trentino sai, s’è ora costituito disertore ai nostri per informare essere imminente un’azione contro di noi, appunto nel nostro settore. Ma benone!”

Io che credevo leggere sul volto i segni del suo turbamento mi disilludo ben presto.

“ Non hai dunque paura tu delle granate?” gli domando.

“Paura, hai detto? E a che serve? .. Giusto, tu ne hai già fatto sull’Urtaka la prima conoscenza … e ci pensi ancora?”

“Io? Per nulla affatto” rispondo un po’ risentito.

“Bene, bene, ti credo, scusami sai.” Poi mi fissa maliziosamente negli occhi, scuote la sua bella testa impomatata e s’abbandona alla sua risatina squillante.

Quella risata mi urta maledettamente i nervi  e mi volgo indietro per non fargli capire il mio disgusto.

Una giubba di panno, nuova, fiammante, che non avevo osservato prima, stava appesa ad un chiodo della parete di fronte alla toilette.

Sulla sua manica sinistra vi scorgo il monogramma reale in filo d’oro “ Vittorio Emanuele”.           E’ il distintivo conferito agli arditi.

Rimango interdetto e mi rivolgo all’amico, guardandolo stupito.

Quegli ride di nuovo,  mettendo in bella vista due fila di candidissimi denti; poi, con fare civettuolo, mi posa una mano sulla spalla :

“E’ un grazioso nome Fiammetta, non è vero?”.

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