27 Giugno 1916 – Dal mio colonnello

dal-mio-colonnello-s… e proseguo la mia strada verso San Jacob, dove ha sede il Comando del mio Reggimento.

Per la prima volta debbo presentarmi al colonnello Cav. Testa Fochi per offrirgli il mio primo lavoro di pittura.

Questo è l’ordine che ho ricevuto dal mio capitano; ordine che eseguo un po’ a malincuore.

Durante la strada cerco di preparare il mio animo a questa visita, studiando le risposte che avrei dovuto dare al colonnello.

La mia mente, agitata, se lo figura un uomo fiero, di scarse parole, rigido al suo tavolo, intento a dare ordini ai suoi ufficiali.

Al mio apparire nel suo gabinetto non sa nascondermi una smorfia di seccatura, squadrarmi da capo a piedi e congedarmi con un “Va bene, ringraziate il capitano Riva a nome mio, andate pure.”

E un piantone togliermi il quadro dalle mani e portarlo altrove.

Oppure costruivo altra scena più avvilente ancora.

Il mio povero lavoro esposto agli sguardi del Colonnello che lo degna di un’occhiata indifferente, mentre dietro di me odo il sussurro sommesso degli ufficiali accalorati nelle loro poco benevoli critiche.

In preda a questi incubi, mi fermo; sono tentato ritornare sui miei passi.  Ma rammento di essere soldato e di dover ubbidire in tutto e per tutto.

Dopo un’oretta di cammino giungo finalmente al Comando.

Oh quanto erano vane le mie apprensioni!

Trovo il colonnello, una superba figura marziale, alto e snello. Veste senza accuratezza una logora divisa; sulle grosse scarpe ferrate vi sono tracce di fango, come pure sugli stivali.

La sua persona eretta e dai movimenti vivaci e giovanili contrasta col grigio dei suoi capelli e del breve pizzo. E’ un vecchio giovane.

Di certo attendeva il mio arrivo, perché appena scortomi mi viene incontro, seguito da alcuni ufficiali, e col più amabile dei sorrisi: “Voi siete il soldato-pittore della 2° batteria, bravo! Il vostro capitano mi ha già parlato di voi. Ora accomodatevi qui e riposate un poco; veramente non era l’ora di mandarvi fin quassù, con questo caldo.”.

Un minuto dopo il cameriere della mensa mi serviva una bibita agghiacciata.

“Ora vediamo un pochino questo primo lavoro che volete offrire al vostro colonnello.”

Con le mani tremanti per l’intensa commozione, libero la tela dal suo involucro e la poso in piedi sopra uno scoglietto a breve distanza.

Temevo il crollo della fragile fama divulgatasi sul mio conto, fama non desiderata punto, conoscendo la mia nullità.

Mi fò animo e levo gli occhi su quel circolo di ufficiali balbettando parole di scusa e di compatimento :  ”Sono un semplice dilettante, né avrei osato offrire al Sig. Colonnello questo povero scarabocchio se non me l’avesse obbligato il mio Sig. capitano.”

“Ed ha fatto benone. Ditegli pure a nome mio che mi ha recato vero piacere e che terrò caro questo dipinto come il miglior ricordo del fronte. Vi faccio i miei elogi; mi piace assai.”

Eguale impressione io lessi sul volto di quei sigg. ufficiali.

Non istavo più in me dalla contentezza.

In quel mentre uno squillo di campanella avverte i Sigg. Ufficiali che la mensa è pronta; ed io saluto militarmente e fò per andarmene, quando la mano del colonnello si posa famigliarmente sulla mia spalla.

“Restate a pranzo con me, ripartirete sull’ imbrunire; avvertirò per telefono il vostro capitano. Su, da bravo, senza vergogna e senza cerimonie. Accomodatevi qui al mio fianco.”

.. E questo era l’arcigno colonnello che la mia accesa fantasia aveva dipinto pochi momenti prima.

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