12 Giugno 1916 – Ore 18. Un saluto inatteso

un-saluto-inatteso-sLa guida Giusti mi precede di pochi passi, portando sotto il braccio il cavalletto di pittura e la cassetta dei colori.

L’interminabile mulattiera è quanto mai disagevole pei massi rocciosi che ne ingombrano lo stretto passaggio e per la sua salita molto accentuata.

E’ pochissimo battuta dalle truppe, essendo in posizione scoperta e bersagliata sovente da colpi d’interdizione, ben sapendo il nemico che detta mulattiera conduce ad una piccola sorgente, l’unica in quei paraggi.

Già da vari giorni rifacevo quella faticosa gita, verso il vespero, per condurre a termine il mio primo lavoro di pittura raffigurante la veduta panoramica dell’irredenta città di Gorizia.

Lassù, dalla cima dell’Urtaka, la bella città si prospetta in tutta la sua magnificenza.

L’ora da me scelta favoriva i mirabili effetti di luce, delineando bene i contorni di quell’interessante panorama.

Ecco, quasi al centro della città, profilarsi nitido il vetusto castello imperiale sulla sommità di minuscola collina a forma conica.

Una superba vegetazione fa degna corona al severo castello turrito.

Più a sud si vede una strada serpentina salire, salire fra due fila di bianche casette, sino a raggiungere la cima del sacro colle di Castagnovizza.

Ivi troneggia maestoso lo storico convento dei cappuccini.

E’ questo un monumento internazionale, meta degli studiosi d’arte e di storia, sia pel suo puro stile quattrocentesco e pei suoi famosi affreschi, come per la sua ricca biblioteca e le sue tombe che custodiscono le ceneri di vari uomini illustri e di alcuni re di Francia.

Tutt’intorno alla città si scorgono magnifiche ville coi loro lussureggianti parchi adorni di candide statue marmoree e di laghetti artificiali, luccicanti ai raggi del sole che volge all’occaso.

L’Isonzo, come un nastro argenteo, sparisce per un tratto dietro le falde del S. Michele, per ricomparire di bel nuovo verso la verdeggiante pianura di Gradisca e Sagrado.

Oh quanta poesia!, quante bellezze vi ha profuso la benigna natura!

Ed è terra nostra, è un ricco lembo d’Italia che da noi attende la sua redenzione.

E sono io che oso su povera tela riprodurre queste bellezze?

Mai come ora mi sento impotente ed umiliato; è il solo sforzo della volontà spinta ed animata dalla suggestione, che mi fa ardito e m’incoraggia al lavoro.

La mia guida si abbandona stanca sul molle verde all’ombra d’un gigantesco ippocastagno ed in breve s’addormenta colla sua pipetta di creta ad un angolo delle labbra.

Ad una ventina di passi da lui, addossato ad un’alta parete rocciosa strapiombante sul mio capo, proseguo con lena il mio lavoro quasi giunto a termine, quando una granata austriaca esplode con uno schianto formidabile sullo scoglio che mi sovrastava.

Una pioggia di detriti m’investe e m’atterra come un cencio, mentre mi sento soffocato da un’acre e densa nuvola di fumo.

La fedele guida d’un balzo è presso di me e mi toglie di sotto quel cumolo di terriccio, prodigandomi le più amorevoli cure.

Riavutomi dal primo stordimento, mi palpo la persona per rassicurarmi di esserne uscito incolume.

Avverto solo un dolore al ginocchio sinistro, ho le mani escoriate ed un bel bitorzolo dietro la nuca.

Non è nulla e posso ben chiamarmi fortunato e rido convulso, assicurando la mia guida, che mostravasi desolata, che non mi sento proprio nessun male.

Dopo poco, appena mi si calmò l’acuto dolore al ginocchio, ritorno sul posto dell’esplosione e ritrovo, con mio sommo dispiacere, il mio povero quadro mezzo sepolto nel pietrame e lacerato in un angolo. Il cavalletto poi è ridotto in pezzi.

E mentre tento togliere dal dipinto il terriccio amalgamatosi coi colori, la guida è intenta a frugare fra le pietre fumanti.

-“Che cerchi?”

-“Eccolo!” e colla punta del piede fa ruzzolare davanti a me un pezzo fumante del proiettile. E’ il fondello, tutt’ora rovente, della granata austriaca da 77.

“A Madonna v’ha fatto la grazia. Vedite, è giusto piombato a no palmo dalla vostra capa. Chisto è o primo saluto che ve mandano”.

“Saluto per ora inatteso”, rispondo io, e mi sforzo di abbozzare un sorriso, ostentando indifferenza.

Ma quel sorriso, allo sguardo indagatore della mia guida, sarà parso di certo una dolorosa smorfia.

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