2 Giugno 1916 (quinta parte) – Ore 23

Dall’attigua cabina telefonica odo il tintinnio del campanello dell’apparecchio ricevente, poi una voce stridula, come di giovinetta, rispondere:

“Pronto, pronto, ah, un fonogramma? Eccomi .. .”

Pochi minuti dopo è un correre di persone da una baracca all’altra, un vocio confuso.

Passa di corsa dinanzi alla nostra minuscola casetta la guida Giusti, gridando a squarciagola : “Riunione, riunione, ordine del Capitano.”

In men che non si dica tutti gli uomini della batteria si trovano allineati in bell’ordine in mezzo al prato nell’attesa di qualche importante novità.

In un angolo del prato, seminascosto fra due grossi scogli, attendo non meno impaziente di loro lo svolgimento di quella improvvisa riunione.

L’oscurità è perfetta, rotta di quando in quando dai fari luminosi dei proiettori nemici che frugano le nostre posizioni, coll’intento di scoprirvi movimenti di truppa o lavori di difesa.

La mobile e argentea luce inonda, per brevi istanti, meravigliosi dettagli di panorami che compaiono, si trasformano e si dileguano come visioni dantesche, superbamente belli nel loro orrido incanto sotto quel fantastico effetto di luce.

Lievi e strani rumori ha la terra che cela nel suo sottosuolo una moltitudine di esseri umani intenti allo scavo di profonde gallerie ed a tutte quelle opere occulte di offesa e di difesa.

Sono gli umili, gli instancabili territoriali che offrono alla Patria il lavoro delle robuste loro braccia, come prima offrivano al campo il sudore della loro fronte.

Sono anch’essi gli artefici delle prossime vittorie; e quanti, purtroppo, cadono vittime ignorate del loro dovere.

A loro viene negato il supremo conforto del combattente che muore sorridendo al bacio che la gloria gli imprime sulla fronte, al cospetto dell’azzurra volta del cielo.

Un gufo fende veloce l’aria a pochi metri al di sopra del mio capo, lanciando il suo grido notturno.

E’ una calma triste, impressionante.  Solo le profonde grotte dell’Isonzo si tramandano l‘un l’altra l’eco di un lontano bombardamento.

Pallidi bagliori d’incendi s’elevano laggiù, verso la brulla catena carsica.

E’ la calma che precede la tempesta.

Ben la conoscono i nostri veterani al fronte.

E’ quella calma sospetta e piena di misteri, che ordisce le maglie insidiose di un premeditato attacco. E’ quella calma che stanca, che sfibra in una continua tensione nervosa i gagliardi muscoli del combattente. Che lo esaspera quanto mai nella febbrile attesa della vicina lotta.

Come il gladiatore che, pur sapendo di essere votato alla morte, attende impaziente a piè fermo che la belva esca finalmente dalla sua tana e si decida all’assalto.

S’avanza il capitano tutto sorridente, seguito dai suoi ufficiali.

Quei cento uomini ammutoliscono, posando fieri nella posizione dell’attenti.

Il tenente anziano, sig. Marchini, un elegante e simpatico giovane toscano, ritto su di un tavolo, con voce vibrante di commozione e di entusiasmo, “Artiglieri, “ grida, “o baldi artiglieri della gloriosa 2° batteria, una lieta notizia ho da comunicarvi. E’ giunto ora un fonogramma dal Comando che ci avverte di tenerci pronti alla partenza. Non posso aggiungervi altro. Vi dirò soltanto che la nostra 2° batteria è stata la sola di tutto il Reggimento che ha avuto l’alto onore d’essere stata prescelta quale batteria di manovra. Opereremo quindi a contatto immediato col nostro secolare avversario.

Oh artiglieri! Non smentirete il motto di cui si è fregiata la nostra batteria “A nessuno secondi”. 

L’ora solenne sta per scoccare. Ai vostri forti muscoli, al vostro sangue freddo è affidato l’esito della battaglia .A noi la vittoria!”

In quel momento il potente proiettore austriaco, là, dalla cima del Jelenik inonda di luce vivissima tutta la vasta zona del prato, come di pieno giorno.

In altri momenti l’ufficiale avrebbe gridato ai suoi soldati “Fermi tutti, non vi muovete.”

Ma ora, inebriato dal nobile entusiasmo : “Ecco,” grida, “l’occhio nefando del nostro barbaro usurpatore, del vituperato tiranno dei nostri fratelli irredenti. Gira, gira pure, guarda, spia quanto tu vuoi, tu non ci spaventi. Fra breve imparerai meglio a conoscerci. Viva il Re!

Un urrà formidabile scoppia dai cento petti come lo scroscio d’una bombarda.

“Ed ora, o bravi artiglieri, festeggiamo il lieto annunzio  e salutiamo questi luoghi a noi sacri per tanti ricordi.  Il nostro beneamato e valoroso capitano vi offre vino e tabacco a volontà.  Divertitevi  un’oretta, poi tornate al vostro riposo.”

Altri urrà, non meno potenti del primo, accolgono quest’altra non meno lieta notizia.

Non potrò giammai dimenticare quel solenne momento.  Una vampa di giovanile entusiasmo mi sale al cuore; non posso frenarmi.  D’un salto sono sopra il tavolo e fò cenno di ascoltarmi. Tutti mi si serrano intorno.

Come il placido torrentello alpestre che, ingrossato d’un tratto per l’abbondante pioggia, straripa dal suo alveo e scrosciando vertiginoso fra le balze scoscese del monte si dilaga al piano, così la mia parola, alimentata dalle visioni della giornata, erompe facile ed impetuosa dal mio labbro.

Uno scroscio d’applausi copre le mie ultime parole che sono un’invocazione al Dio degli eserciti perché doni forza e coraggio ai prodi figli d’Italia. Perché infonda speranza e pace ai cuori angosciati dei venerati genitori, delle trepidanti spose, degli innocenti bimbi ..  .

Mi trovo fra le braccia della guida Giusti che mi ripete balbettando delle parole ch’io non comprendo.

I compagni mi si stringono intorno per meglio vedermi, poi si scostano al passaggio del Capitano che viene verso di me.

Tento di nascondermi fra quei bravi giovanotti, ma inutilmente, perché sono essi che mi spingono verso di lui, acclamandomi.

Il capitano mi porge la mano e tenendomela serrata nella sua  “Bravo!. Lei fa onore alla mia batteria.”

Poi rivolto ai soldati : “Miei artiglieri,” grida con voce che tradisce la sua emozione, “chi vi ha parlato ora è un padre che non antepone gli affetti della sua cara famiglia all’amore di Patria. Egli merita che l’onoriate e gli vogliate bene.” 

Confuso per tanto onore ed impossibilitato a rispondere, rimango lì come un automa. Ma mi sento spinto affabilmente dagli altri ufficiali che mi conducono nella loro saletta da pranzo.

Il capitano vuole di sua mano offrirmi il bicchiere dello champagne invitandomi a dire due parole di brindisi.

Incoraggiato, improvviso un breve inno alla Patria, alla sua grandezza, alla sua libertà, alla felicità del suo Popolo.

Al di fuori, sul prato, fra le tenebre di quella notte affascinante e misteriosa, continuano i canti e gli evviva di quei bravi artiglieri.

E le loro nostalgiche canzoni si confondono con i sordi boati delle cannonate ..  .

Più giù, oltre l’Isonzo, si combatte e si muore …  . Ma chi ci pensa?

Domani, forse, toccherà a loro.

Viva l’Italia!

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