2 Giugno 1916 (prima parte) – La guida Giusti

guida-giustiMi viene incontro tenendo due cavalli insellati.

– “Sono la guida del Comando, mi dice con una certa aria dignitosa, e vaggia a portare sino a Zamedwedye, siete pronta?

– “Si” ,rispondo, e, salutati gli amici, salto in sella mettendomi al suo fianco.

– “E’ distante Zamedwedye?”

– “Quattr’ora di strada, professore.”

Piccolo di statura,ma snello e ben proporzionato, veste con una certa ricercatezza malgrado che il tempo e le intemperie abbiano  lasciato le loro indelebili tracce sulla sua uniforme ben  arrangiata (per usare un termine militare).

E’ un simpatico giovane dal viso ovale e dal colorito bruno.  Capelli ondulati e neri, folte ciglia, due occhietti brillanti ed  irrequieti, il naso sottile e leggermente rivolto in su, le  labbra vermiglie e pronunziate indicano la sensualità ed il  nervosismo di quell’ometto che sembra avere l’argento vivo in  corpo.

Non stà un mezzo minuto quieto e, tratto tratto, agita il suo  bel frustino di cuoio intrecciato, roteandolo al di sopra della  testa del cavallo e lo tormenta col morso e con gli speroni per farlo caracollare.

D’una loquacità sorprendente, getta fuori in pochi secondi  fiumi di parole, saltando di palo in frasca, senza concedersi  respiro come ripetesse una storia imparata a memoria e ripetuta  Dio sa quante volte. Ad episodi di guerra (sempre lui il  protagonista, si capisce!) impasticcia delle scene della sua vita  borghese a Napoli; alle sue personali critiche sulla tale e sulla  tale offensiva, le esigenze della lavandaia; le pessime qualità  balistiche di certi proiettili con la meravigliosa perizia delle  centurie territoriali che costruiscono splendide strade in un  batter d’occhio, come quella del Corada.  E l’esagerato costo  della frutta si confonde col coraggio e con l’abilità del nostro  capitano ….. ; un finimondo!

Ad ogni sua frase usa l’intercalare “Madonna santa”, ogni suo gesto termina alla faccia, allo scopo di arricciarsi quei due  poveri baffetti appuntiti.  Giunti ai piedi dell’aspra salita del Corada, invece di seguire  la spaziosa via carrozzabile, mi conduce entro una fitta  boscaglia e sopra una pessima mulattiera irta d’ostacoli d’ogni  specie.

E’ un continuo salire e scendere fra pietrame e scogli, fra  un’aggroviglio di frasche e tronchi d’alberi abbattuti dal fuoco  nemico. Ora sono piccoli torrentelli ora buche insidiose  perché  mezzo celate dalle folte erbe.

– “Facite attenzione, tenite sempre o cavallo sulle redini; è tanto che vui non avite cavalcato?”

– “Vent’anni”, rispondo, “ma dimmi, piuttosto, perché non hai presa la via carrozzabile?”

– ” Vedite …”, mi risponde dopo un pò d’esitazione, “chista mulattiera è una scorciatoia. Ci avvantaggiammo d’una buona ora che potrimmo passarla comodamente lassù …” e mi accenna una bianca casetta seminascosta da alti alberi d’ippocastano.  “Madonna santa, là ce stanno du belle quaglione e ce stà pure uno bono bicchiere de vino…”.

– “Ho capito, è un’osteria e vuoi bere un bicchiere alla mia salute”.

– “Tutta bontà vostra, Madonna santa ..” e gli occhi gli brillarono come due perle.

…. E mentre la sorella maggiore, un massiccio di carne  compressa a stento da un enorme busto, s’affannava a sbarazzare  il lungo tavolo dalle ortaglie ivi ammonticchiate, a risciacquare  bicchieri e spillare il vino da una botticella, la più piccola,  una biondina esile e slavata ma con due occhioni meravigliosi, se  ne stava in intimo colloquio con l’intraprendente mia guida.

M’accorgo subito che erano vecchie conoscenze e faccio finta di non curarmi di loro.

Lei, coi gomiti appoggiati ad un vecchio cassettone e le palme delle mani affondate nei capelli, ascolta ora il suo galante che le parla piano all’orecchio, ma non sì piano ch’io non udissi.

– “Ti dico, Mariuzza, chillo è nu pittore, si chiama Jola .. nu professore, capisci? Se tu mi dai lo tuo ritratto, io m‘impegno a fartene fare uno grande cussì a coluri; coi tuoi capelli biondi, Madonna santa, e li occhi celesti che me fanno ascì pazzo, e la tua boccuccia cussì … vedi, vedi come ti guarda. Via, damme chistu ritratto … sii bona, Madonna santa!”.

La  poveretta, con le gote soffuse da improvviso rossore, china gli occhi, tentenna fra il si e il no, infine cede. Toglie lesta da una rustica cornice la sua fotografia e furtivamente gliela introduce nella giacca della giubba… .

– “Ah, mariuolo!” gli dico serio serio, mentre si riprendeva il cammino, “Ti sei servito del mio nome per lusingare quella povera ragazza e carpirle la sua fotografia. Che storie le hai fatto a credere? Questo non mi va, ti sia per detto.”

La povera guida mi guarda fisso come per assicurarsi s’io celiavo, poi, accortosi del mio reale disgusto, diventa pallido e balbetta qualche parola, poi con un gesto supplichevole : “Professore…”.

–  “Finiscila col tuo professore, chiamami Joli o Jola come t’aggrada, ma ti consiglio di parlar meno sul conto mio e di non servirti di me per..”.

Mi guarda nuovamente come un ebete, si fa sfuggire di bocca un’altra “Madonna santa” poi china mortificato il capo e si ammutolisce.

Fu forse la prima volta in vita sua che sia stato dieci minuti senza aprir bocca.

….

– “Riconducimi sulla strada. Se continuiamo ancora a battere questa maledetta mulattiera finiremo per fiaccare questi poveri cavalli.”

– “Eccovi servito”, mi risponde tutto contento di poter finalmente sciogliere di nuovo la lingua, “vedite là ..”.

Difatti dopo una cinquantina di metri, rigirato un enorme scoglio, ci troviamo, dirò così, all’aperto, sulla spaziosa carrozzabile.

Un rumore cadenzato di ferramenta e lo sbuffare lento e penoso d’una locomotiva mi fa volgere il capo dietro di me e vedo un magnifico cannone da marina, un 149 prolungato, trainato da una gigantesca trattrice che lentamente morde il terreno a causa della salita molto accentuata. Trattrice e cannone sono abilmente ricoperti da frasche e da rami ritti in piedi, da dar l’illusione, in lontananza, di un minuscolo boschetto.

Quante astuzie non ha escogitato questa guerra per ingannarci a vicenda?

Una squadra di alti e robusti artiglieri segue da presso il traino, valigie a tracolla e i lunghi bastoni ferrati in mano.

Ma quell’ illusoria quiete alpestre è rotta d’un tratto da una formidabile raffica di cannonate, che mi fa sobbalzare di sella per lo spavento.

Al basso della scarpata laterale della strada, a poco meno di venti metri da noi, quattro enormi bocche da fuoco eruttano vampate e fumo come crateri.

Sono obici di grosso calibro, abilmente nascosti fra le fitte piante, che fanno sentire la loro potente voce. Trema la terra come scossa da un terremoto, le piante tutt’intorno hanno fremiti come al passaggio d’un ciclone. Le grotte e gli scogli si tramandano l’eco, come un grido d’allarme, mentre un nuvolo d’uccelletti s’eleva dal bosco dileguandosi nel lontano orizzonte.

Ai primi colpi i cavalli hanno uno scatto. Rizzano la testa fiutando il vento, poi riprendono tranquilli il loro passo. Sono oramai i veterani della guerra ed al pari dei soldati non s’impressionano più.

Come potrei descrivere l’impressione ricevuta a quelle prime cannonate?

La mia guida mi lesse lo spavento negli occhi e con un sorriso beffardo:

-“Nun ve ne facite caso, professore, chisto è niente; o bello è quando ce mandano loro i marmittoni. Chilli, Madonna santa, ci hanno n’autra melodia ..” . E, dopo breve pausa:

– “Ma vi domando scusa … “

– “Scusa di che?”

– “Ecco, … avrei dovuto avvertirvene per prepararvi alla scossa, perché vui siete novo .. . Nun avite sentito prima nu fischietto, là, dinta e frasche?”

– “Si, è vero, ebbene?”

– “Madonna santa, chillo fischietto era o segnale d’aprire o fuoco.. .”

– “Ah malandrino! Per poco non ruzzolavo giù di sella.”

La guida Giusti si portò svelto il palmo della mano alla bocca per soffocare una risata e girò il capo dall’altra parte per non farsi scorgere.

S’era voluto vendicare della paternale ricevuta poco prima.

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